Wednesday 11 April 2018

Isole di felicità - Il fattore umano



Foto Živile Abrutytė

In ogni relazione come in ogni lavoro, disciplina, arte, tecnica… vi è un incognita che gioca un ruolo fondamentale: il fattore umano. E nessuno ne è immune. Anche nell'essere felici, una volta raggiunto uno standard di felicità il fattore umano può essere decisivo per gli equilibri.
La tristezza di Diego, la sua pigrizia abitudinaria da una parte e la radicalità di Rūta e il suo modo di vivere fondamentalmente com-pulsivo dall’altra costituivano due fattori umani che venivano a confronto.
Per quanto si dessero regole sul come cercare la felicità e mantenersi felici tuttavia, i loro istinti, pulsioni, desideri, disposizioni naturali qualora fossero forzati da agenti esterni interferivano sul comune stato di felicità.
Il venerdí per esempio nasceva spesso un’interferenza per cui il loro livello di felicità tendeva a collassare.

Quando arrivarono a casa Diego aveva ripreso la sua condizione di ottimismo e Rūta era di nuovo rilassata. Il suo venerdí era stato minacciato, ma solo minacciato.

-       La tua idea di andare a la Veranda è stata buona. Dobbiamo farlo piú spesso. Un giorno alla settimana almeno deve esserte tutto nostro
-       È quello che pensavo anche io
-       Forse dovremmo cercare un posto a Vilnius in centro, un bar dove si può bere un prosecco
-       La Veranda non ti piace?
-       Oh sí…ma per cambiare qualche volta. E poi in centro è piú vicino al tuo posto di lavoro
-       Amore…hanno anche il giardino fuori, ora che viene il tempo buono potremmo fare l’aperitivo in giardino

Diego guardò profondamente negli occhi Rūta, i suoi occhi cobalto.

-       ?  - disse Rūta davanti a quello sguardo intenso
-       Che faremmo l' uno senza l'altra?
-       Non lo so
-       Sarebbe una sofferenza senza fine
-       Credo di si.  Siamo così interconnessi, cosí dipendenti…
-       Io non posso essere felice senza di te e tu senza di me

Al di là di questi equilibri perfetti sotto vi era una realtà in movimento e sempre posta in dubbio che però consentiva le basi su cui poggiare perché rimanesse tutto in quasi perfetta simmetria.
Rūta ad esempio continuamente cercava conferma che Diego veramente fosse suo e solo suo. Perdeva molto tempo a indagare i social media che Diego usava (Facebook, instagram). Quali donne più di frequente mettessero "mi piace". Andava fra i suoi amici e followers a vedere foto, immaginare donne del passato che tentassero di riproporsi nella vita Diego. Voleva esclusivamente essere lei e solo lei nella vita di Diego. Il passato era l'ossessione di Rūta e con questa ossessione spesso innervosiva Diego, gli faceva perdere la pazienza. E quando Diego perdeva la pazienza diventava molto italiano. Cominciava ad agitarsi, alzava la voce. Le diceva "vaffanculo! ", "Non capisci niente", "sei una malata mentale" ...
Tuttavia capiva che Diego lo diceva solo perché arrabbiato e non lo pensava realmente; anche lei quando si arrabbiava con Goda e Rebeka diceva cose che in nessun modo sapevano di verità.
E poi sotto sotto aveva coscienza di sbagliare per via della sua ossessiva insistenza sul passato, sulle donne del passato. Conosceva bene che Diego non era interessato a ritornare al passato. E in effetti Diego non aveva tutti i torti…lo capiva.
Ciò che la stupiva quando Diego si arrabbiava era che lei non si sentiva offesa. Si sentiva al contrario eccitata quando lui la trattava male. A lei essere trattata male aveva sempre procurato eccitazione sessuale. Soprattutto a letto raggiungeva immediatamente l'orgasmo quando un uomo la maltrattava e le diceva parole che in un altro frangente sarebbero state pesanti, volgari, irrispettose.
Diego da parte sua aveva la massima fiducia in Rūta e tuttavia c’era un dubbio. Non forte ma un dubbio: che non sempre Rūta gli dicesse tutto. Non che mentisse: ritardava la verità o la ometteva. Qualche volta un po’ la manipolava perché non sembrasse come invece avrebbe dovuto sembrare.
Una volta infatti aveva scoperto che era andata a pranzo con Giovanni e Dovilè senza dirgli nulla.
Un’altra volta Rūta aveva lasciato Facebook aperto ed era andata a Maxima. Lui non aveva saputo resistere. Aveva dato un’occhiata. Mentre guardava il suo Facebook si era aperta la finestra della chat e un italiano, un certo Silvio Franceschini, amico di Rūta sul social, aveva scritto “Ciao!”.
Quando poi era ritornata da Maxima, con la coda dell’ occhio aveva visto Rūta subito cancellare la chat, senza rispondere.
Aveva fiducia in Rūta, era certo che Rūta non lo prendesse in giro in nessun modo, eppure sapeva che vi era un fondo oscuro in lei. Glielo aveva raccontato lei stessa. Con il precedente marito a letto non aveva intesa. Lui tradiva lei e lei lui. E la coscienza di commettere adulterio le aumentava il desiderio sessuale.
Insoddisfatta spesso si masturbava al computer guardando film porno. E lo fece fino al giorno che il marito la scoprí davanti al computer mentre si masturbava.
Quel fondo nero che una volta era emerso di nuovo poteva emergere, pensava Diego. E questo pensiero mulinava dentro lui quando Rūta si faceva assente, non lo chiamava, o la vedeva assorta nei pensieri e non gli dedicava attenzione. In quei momenti sapeva che Rūta vagava ma dove vagasse non poteva immaginarlo. Avrebbe voluto controllare ogni suo pensiero. Che non potesse farlo lo rendeva teso.
L’animo umano è insondabile, lo sapeva per esperienza, lui che sentiva quelle voci dentro che arrivavano non annunciate, e senza potervisi opporre le subiva.

Rūta nel frattempo si era addormentata. Dopo essere andata in bagno a struccarsi, come di solito faceva, era poi andata a letto, si era girata sulla parte destra del corpo - la sua posizione preferita per leggere, ma come sempre dopo neanche un minuto che leggeva già dormiva.
Diego come al solito guardava un film. Ora, dopo I recenti fatti ,preferiva i thriller, quelli con storie di spie.
Aveva iniziato a leggere Ian Fleming. Non lo aveva mai letto. Iniziò con The spy who loved me. L’inizio del libro lo travolse. Si rese conto che Fleming era uno che sapeva scrivere. Teneva bene la pagina e non annoiava, salvo qualche piccola caduta (ma esiste un libro dove non ci sia una caduta di ritmo o di tono della storia?).
Aveva poi iniziato a leggere Live and let die, trovando conferma alla sua idea che Fleming era un grosso scrittore.
Ma lí ebbe poi una swerve, una svolta inattesa, che lo portò a leggere Graham Green. Le ragioni di quella swerve non le ricordava.

-       Questo è uno che sa scrivere – aveva detto a Rūta – ti porta al punto, ti narra la storia, fa dialogare i personaggi e ti mostra le loro debolezze, la componente umana del successo o dell’insuccesso di una vita. Un grande scrittore

Poi aveva visto su filmai.in alcune puntate di Homeland e The fourth protocol ed era stato travolto dal ritmo di The Bourne Ultimatum e dalla complessa struttura di Red Sparrow.
Stava meditando anche lui di scrivere una storia di spionaggio in Lituania, dove la natura umana fosse il fattore predominante.

Guardò Rūta, che ora si era girata dalla sua parte, e dormiva in modo curioso con la mano sinistra sotto la guancia e con il mento all’insú che sembrava guardasse verso l’alto. Il suo alito era dolce e le sue labbra appena increspate emettevano un quasi impercettibile brusío.
Aveva un’aria beata.
Fra tutte le donne che aveva conosciuto lei era la piú singolare, ed unica nella sua singolarità. A tutte le donne che aveva conosciuto aveva dovuto dire che erano uniche, perché ogni donna vuole sentirsi dire questo – in verità le aveva trovate tutte quante normali, e aveva mentito loro dicendo che erano uniche ma con Rūta sapeva che stava dicendo la verità.
Il fattore umano non aveva cozzato nella menzogna, stavolta.

Thursday 5 April 2018

From "Love, šaltibarščiai and red tomatoes" - The black days




Her favorite place in the house was the kitchen. In the kitchen she spent her days: she read, she prepared the dinner, she made calls, she wrote emails, she worked and cried, she laughed and thought.
In the kitchen we made love, often.
The kitchen was full of her self unlike any other part of the house.
There (in the kitchen) she had erected her inner sanctuary, fortified her self and learned to esteem and trust in herself or how pleasurable was to torture herself on questions that could not be answered.
She never wanted to share that space even with me.
She housed me in that space but it remained exclusively hers.

From every other space she excluded me in the black days of menstruation. Who was in those days the hidden Demiurge that broke the world and the space surrounding her? Did that Spirit decide for her and spoke for her?
In those days it seemed that every thought of her mind had already been decided in spite of her will . Her thoughts no longer were direct to me but aimed to the depths of her own self unable to decipher any kind of reason.
Those were the days when she once again savoured a childhood in which she had never decided anything.

- My childhood in Klaipeda was very poor, I lived in a house without heating. The temperature that was outside was inside. There was almost nothing to eat. The best dish my mother served was šaltibarščiai. This is why I still love this soup. It's the taste of my poor childhood.
I could see from her eyes that still kept tracks of it.
It seemed  like a childhood that has never passed whenever she ate šaltibarščiai.
I wondered what I loved in those days that menstruation altered Austėja's perceptive state.
I didn't see perfection, I was madly in love but I did not see perfection in her.

I could solely imagine her life as a prelude to a search just made of fatigue that was trying to find a direction. But it was life indeed, an intense desire to live that I realized was not denying life itself, despite her claim to be desperate.
As Ričardas gavelis says in Vilniaus Pokeris "In days like these, lighter things weigh more than heavy and [...] show directions for which there is no name".

Da "Isole di felicità Laimės salos" - Diego



Foto Živilė Abrutytė

Quel pomeriggio uscendo da Impuls, la palestra dove andava nel dopo pranzo, era abbastanza indeciso sul che fare.
Era indeciso se andare al Cafè Huracán o alla libreria Vaga di Pilies gatvė. Entrambi erano stati fra i suoi luoghi preferiti. ‘Erano stati” in quanto ora aveva cominciato a pensare di evitartli, perché si sentiva osservato.
Sentiva che la gente cominciava a domandarsi chi fosse e che facesse. Troppi mesi che trascinava i suoi giorni per quella città che ogni giorno di piú diveniva meno estranea e perciò piú angusta.
Quando non hai un lavoro, quando cerchi di venire fuori da solo da una situazione che pare irrimediabile, quando non hai che te stesso a cui aggrapparti perdi il senso di appartenere al mondo, perché il tuo universo ha i limiti delle tue stesse capacità.
Il mondo va secondo i suoi schemi, le sue velocità, i suoi usi, le sue leggi, le proprie dinamiche. O riesci ad entrarvi o vai controcorrente.
E Diego stava andando controcorrente e in un mondo che non era quello dove era nato e cresciuto.

Si sentiva positivo tuttavia quel pomeriggio. Splendeva il sole, assaporava l’aria di primavera, poteva finalmente girare per Vilnius senza sciarpa e con il giaccone sbottonato.
Aveva voglia di camminare e siccome Gedimino 9 dove si trovava il Café Hurcán era vicino alla palestra pensò che era meglio andare alla Vaga. Avrebbe camminato per tutta Gedimino prospektas attraversato la Katedros Aikštė e preso per Pilies gatvė, risalendo su verso Didžioji gatvė.

Arrivò. Si sedé al tavolo grande, che era vuoto. Accese il computer, quello che usava per scrivere – ormai vecchio e lento.
Mentre aspettava che divenisse operativo andò al banco a prendere il solito cappuccino.
Ritornò con il cappuccino, si sedé. Cominciò a scrivere.
Mentre scriveva entrò qualcuno a cui Diego non prestò attenzione. Quel qualcuno girò per la libreria, poi si diresse al tavolo e venne stranamente a sedersi dalla parte di Diego, poco distante da lui (questo sí lo notò – seppur distrattamente senza focalizzare la figura).

- I saw you many times in this area? Are you working around here? In which business are you?

Diego non era sicuro di aver inteso bene.
Sí girò alla sua destra e vide un ragazzo sui trenta anni che lo fissava. Era alto, capelli neri corti, abbastanza robusto. Non ebbe tempo per vedere il colore dei suoi occhi ma gli parvero scuri. Lo colpirono le sopracciglia: forti, robuste e folte.

- I come here, once in a while
- Really?
- Yes, really
- What do you do?

A Diego suonò un campanello. Le parole di Giovanni.

- I write books
- Oh!
- Where do you come from?
- I am local
- Lithuanian?
- Yes
- What’s your name
- Tadas
- It’s a tipical Lithuanian name
- Not really…are you Spanish?
- No, I am Italian…anyway …Diego…nice to meet you!
- Nice to meet you

Diego ritornò a scrivere e non parlò ancora al tipo. Aveva notato come osservava il suo computer mentre parlava con lui.
Non gli piaceva quell’ incontro. Forse era una suggestione, ma era strano che proprio in quei giorni che si sentiva sotto osservazione avesse incontrato improvvisamente uno che lo approcciasse diretto e senza motivo. Diego, quel Tadas, non l’aveva mai visto.
Aveva detto di interessarsi di grafica. Eppure Diego aveva sbirciato un paio di volte nello schermo del suo computer: era stato sempre aperto su una pagina e vi era rimasto per tutto il tempo finché Diego non se ne era andato. Lui, Tadas, pareva aspettare piú che lavorare.

Uscito dalla libreria e fatti un centinaio di metri chiamò al telefono Giovanni e gli raccontò l’incontro.

- E’ uno dei tanti…ce ne sono a decine qui come lui. Mettiti l’animo in pace per tre mesi sarà cosí. Poi ti lasceranno in pace…a me all’ inizio sono entrati almeno due volte in casa

Pensò che per un po’, almeno un mese, era meglio che se ne stesse a casa. Sparisse di circolazione, dalle strade, dalle librerie, dai caffè…non esistesse per la gente di Vilnius fino a sperare che non si ricordassero piú di lui. Doveva crearsi una comoda solitudine in cui vivere per un poco.
Sentí l’odore di una nuova vita, il cui aroma non era poi cosí male. Aveva l’odore dell’urgenza e a Diego non dispiacque.
Un cambio di ritmo gli avrebbe fatto bene.
E cosí fece.

La mattina accompagnava Rūta al lavoro. Poi andava in palestra. Ritornava a casa mangiava qualcosa e si metteva a leggere o scrivere.
Aveva la sensazione che ormai fosse tutto deciso. Non aveva la forza di opporsi. Si sentiva pronto a seguire il destino, al quale neppure credeva.
Che avrebbe potuto fare?

Aveva sperato che Kitos Knygos almeno rispondesse. Non aveva risposto. Aveva inviato il manoscritto a Tyto Alba, nemmeno lui aveva dato una risposta.
Lo aveva inviato anche ad Alma Littera, neppure loro avevano dato segno di un riscontro.
Aveva sperato in quella biografia, evidentemente però scrivere un libro per quanto buono non era quello che gli editori cercavano.

- Devi diventare interessante per un editore – gli aveva detto una scrittrice lituana che aveva conosciuto

Chiaramente la sua storia non era interessante.
La vita di Diego era corsa anonima negli ultimi mesi. L’unica esposizione erano state le strade, i caffè, le librerie. E si era sovraesposto evidentemente. Aveva attirato la curiosità e l’attenzione esattamente nel modo in cui non avrebbe voluto.
Si era esposto soprattutto nei mesi gelidi e freddi, ora invece che veniva il sole e le temperature miti (era aprile) aveva deciso di chiudersi in casa. Un controsenso.

Quella mattina erano quasi 18 gradi.
Uscito di palestra, pur con le migliori intenzioni non riuscì a prendere il filobus e a tornare a casa.
Si sedé su una panchina in Vokiečiᶙ gatvė. Posò lo zaino con il computer dentro vicino a sé. Appoggiò le spalle alla panchina, allungò le gambe e volse avido la faccia al sole.
Quando era in Italia non capiva perché i turisti del nord non appena vedevano un raggio di sole come lucertole subito rimaneva immobili al calore.
Adesso capiva invece bene che significava vedere raramente il sole e goderne gli effetti anche solo per un attimo.

Mentre era lì sentì il suono del telefono. Aveva ricevuto un email. Era Rūta.

- Amore tutto bene. La Lituania ti dà da vivere qui

Aveva ricevuto il permesso di soggiorno per cinque anni.

A proposito del ruolo dello scrittore e di un libro di Giorgio Colli.

  Molte volte mi sono chiesto quale sia il vero ruolo di uno scrittore. O perlomeno quale dovrebbe essere appunto il suo ruolo. Momentaneame...