Monday 21 January 2019

Boia chi molla





Nel 1970 Rumor varò un governo monocolore, composto in modo assurdo: 27 ministri e 56 vice ministri.
“Una ciurma scandalosa - li chiamò Montanelli - Il parlamento si è ridotto a un parco buoi - continuava Montanelli - Questi uomini - rincarava - fatte le solite eccezioni, fanno pietà e seguiteranno a farlo finché si insisterà a sceglierli fra i mestieranti del cosiddetto ‘apparato’ dove non militano che gli scarti di tutte le professioni. Si chiamano ‘correnti’. Ma queste correnti non sono entità astratte. Sono degli uomini. E questi uomini chi li ha scelti se non i capi? Quali criteri costoro abbiano seguito lo si vede ora. Evidentemente per mettersi al riparo da futuri rivali hanno preferito reclutare gli adepti nel pattume delle mediocrità. Ma ai mediocri, per andare avanti e far carriera non resta che l'intrallazzo. Ed è proprio questo che sta dilagando nel nostro ambiente politico”.
Montanelli fu indubbiamente visionario ma, come Badoglio nel ’43, nemmeno lui immaginava fino a che punto quello strutturalismo politico sarebbe dilagato e spinto.
Il governo approvò la legge che doveva finanziare la costituzione delle regioni. Vennero stabiliti ingenti contributi finanziari per le regioni che dovevano però fare i conti con le numerose correnti della DC (almeno 8) dove abbondavano i nuovi faccendieri. Non importava che alcuni fossero ribelli, diventavano comunque utili per essere inseriti dentro un “sistema” che creava competenze amministrative da gestire sul territorio.
In ultima analisi non fu che una moltiplicazione dei pani e dei pesci per accontentare ex portaborse, ex funzionari, ex sindaci, ex politici, i vari trombati, i nuovi rampanti e tutto quel ceto politico che stava dietro le segreterie provinciali e che negli anni precedenti aveva lavorato per i leader, ma che non era stato gratificato abbastanza, perché le poltrone a Roma erano troppo poche.
Ma le autonomie, le nuove Regioni se le potevano dimenticare, il potere centrale avrebbe alla fine gestito tutto. I Consigli e le Giunte Regionali che stavano nascendo sarebbero serviti in gran parte solo per creare una nuova casta di funzionari sul territorio, che a nome del referente romano, avrebbero ubbidito agli ordini, più o meno supinamente. Spesso, dove sarebbe stato impossibile egemonizzare da parte del partito di governo, si sarebbero fatte le più strane e oscene alleanze con l'opposizione, che se possibili in una zona, in altre sarebbero apparse vergognose.
Gli uomini politici che sedevano sulle poltrone governative romane ormai perdevano di vista gli interessi generali del paese e guardavano soprattutto e solo al proprio territorio. Che era prevalentemente il meridione, essendo che la maggioranza degli uomini politici, almeno quelli più potenti, provenivano dal sud. E così finivano per perdere di vista la nazione, a favore delle loro regioni (meridione), con precisi patti clientelari in una specie di “consorteria”. Ad avvantaggiarsi finalmente furono le regioni che avevano un “uomo autorevole” nel partito, mentre ci rimisero le regioni che erano rappresentate da “uomini mediocri”.
Nel ’43 l’Italia aveva perso l’onore e la sovranità. Nel ’68 perdeva la sua identità. Nel ’70 e negli anni a seguire avrebbe perso la direzione e la classe politica smarrito il contatto con la realtà.

Silvano uscì dalla riunione della direzione del partito piuttosto indolente. Fiacco, sarebbe forse più corretto dire.
A Reggio Calabria era un bel pasticciaccio. I compagni non sapevano che linea tenere. Certo non potevano distanziarsi dal popolo che era in rivolta. Andare contro un popolo in rivolta sarebbe stato un errore, ma anche schierarsi dalla parte della violenza che pareva fomentata dall'estrema destra e dalla mafia poteva mettere in imbarazzo il partito. Ma i socialisti c’erano dentro fino al collo. E questo faceva incazzare Silvano. A Latella avevano bruciato la casa, la sede del partito era stata devastata dalle fiamme.
Una situazione difficile. Un grosso impiccio, nato dai soliti clientelismi, perché (si diceva) i partiti avevano dato l’università a Cosenza per favorire Giacomo Mancini e il capoluogo a Catanzaro per fare il gioco di Riccardo Misasi, per cui, così, tutti i fondi stanziati dallo Stato non finivano a Reggio. Il sud, il profondo sud, campava di fondi stanziati dallo stato, su cui le “consorterie” si lanciavano come lupi affamati. Era chiaro che per Reggio Calabria quei fondi erano vitali, per molteplici ragioni.
Silvano era stanco. La politica cominciava a stancarlo. Era entrato in politica per cambiare il mondo, e ogni giorno di più vedeva come non fosse possibile cambiare il mondo.
Non solo non cambiava il mondo, ma quello suo personale era decisamente peggiorato. In famiglia avvertiva l’odio di Sabatina e dei figli. Forse solo Fabrizio ancora gli voleva bene, ma anche Fabrizio cominciava ad allontanarsi da lui. Lo vedeva la sera quando rientrava come gli tenesse il muso e a mala pena gli parlasse. Non poteva biasimare Fabrizio. Fabrizio gli aveva sempre dimostrato amore e rispetto. Non poteva negare che se ora le cose erano cambiate era sicuramente a causa del rapporto fra lui e Sabatina. Sentiva che la sera a cena il clima era irrespirabile e tuttavia non riusciva a fare nulla per cambiarlo. Non riusciva a sorridere, a dire cose gentili, a essere brillante. Appena entrava in casa una cappa di piombo gli calava addosso. E lui si inacidiva, e un mondo nero lo avvolgeva.
Malediva allora se stesso, e quel giorno che la madre l’aveva messo al mondo.

Si era infilato in uno stile di vita da cui non riusciva ad uscire.
Le donne erano diventate un motivo di vita. Si stava perdendo troppo dietro a loro. Non avrebbe dovuto essere così ma era così.
Ci aveva pensato, e sebbene non ne fosse del tutto sicuro questo perdersi dietro alle donne doveva essere dovuto allo stallo della vita politica, alla sensazione di essere finito in un vicolo cieco da cui uscirne era impossibile.
Ma aveva voglia di uscirne.
Per questo stava male.

Allora aveva una relazione con una donna di Empoli che aveva un negozio di parrucchiera. Ma anche a Roma incontrava una compagna del partito. Questa doppia relazione gli pesava e tuttavia non riusciva a terminarle. Si sentiva vicino ad una animalità che prima gli era sconosciuta. Era come se non riuscisse a distinguere fra il bene e il male. Come se tutto fosse indefinito, relativo, strutturato da continui orizzonti mai determinati. Per quello era confuso. Aveva perso la capacità di distinguere fra bianco e nero, fra bene e male.
A quei giorni Silvano aveva smesso di fumare le sigarette e aveva preso a fumare il sigaro. Doveva modificare anche i minimi accidenti della sua vita. Fumare il sigaro lo faceva sentire in sincronia con il suo mondo, con le modalità esistenziali che si rapportavano al suo stile di vita, all’ambiente che lo circondava e all’immagine che più o meno consciamente voleva dare in rappresentazione all’esterno.
Era un’immagine che tutto sommato piaceva, incontrava consensi. Solo in famiglia nessuno prendeva sul serio quello che lui faceva e cercava di essere. Sabatina con il sarcasmo lo annientava. I figli parevano neppure accorgersi del suo essere uomo, incapaci di andare oltre la figura del padre a cui non voleva più cercare di corrispondere.
Forse anche a lui il Sessantotto aveva trasmesso una volontà di ribellione a schemi che neppure lui voleva sopportare. Li trovava inattuali. Impelleva l’urgenza di adattarsi a un nuovo ruolo. Ed era quello che sentiva. Liberare dentro l’uomo. Rompere le regole, le tradizioni, le obbligazioni.

A quel tempo aveva deciso di cambiare macchina. La Bianchina, in effetti Sabatina aveva ragione, era ridicola. Come diceva lei, pareva veramente una scatoletta di sardine. Voleva una macchina più spaziosa. Più status symbol. Cominciò a pensare a una Lancia. Gli piaceva la Lancia Fulvia Berlina. Il problema era il costo.
Quando ne parlò a Sabatina e le fece vedere le foto del dépliant nel tentativo di mostrarsi interessante e di conquistare Sabatina, credendo che cambiando macchina avrebbe cambiato il clima familiare, la sua risposta fu:

- Ma compri tutte scatolette?
- Ma come una scatoletta? E’ una delle macchine più eleganti che abbia prodotto la Lancia. Vuoi mettere questa e la Bianchina?
- Per me ci corre poco. Mi sembrano uguali.

Silvano si arrabbiò. Cominciò a dire che non capiva nulla, che era un' imbecille e che veniva da una famiglia dove non capivano nulla. Sabatina reagì e naturalmente se la prese con quel demonio di donna di su mà (Ida). Per l’ennesima volta litigarono e sarebbero venuti alle mani se Loris non fosse entrato in cucina e non avesse urlato “Basta! Siete due cretini! Non vedo l’ora di andarmene per sempre da questa casa e non vedervi più!”.
Fabrizio rimase sulla soglia della porta e guardava in silenzio.
Era l’ora di cena.

A Reggio intanto la protesta continuava. Dai giornali era difficile capire che succedeva se non che una città era un guerra. Intanto si registravano i primi morti, il che aveva inferocito ancor di più la popolazione di Reggio. Furono mesi di terrore, in cui il governo scelse solo la forza della repressione.
Ciccio Franco, sindacalista missino della CISNAL, era divenuto il capo della protesta, al grido di “Boia chi molla!”. Protagonisti di quella rivolta, tutti. Uomini, ragazzi, studenti, operai, disoccupati, preti, imprenditori e le donne. Le donne di Reggio.

- In mezzo alla strada ci sono i nostri figli. Il nostro sangue. Siamo scese in piazza per difendere loro. Soltanto in questo modo possiamo arginare un la violenza di Stato! Siamo stanche di vedere ogni giorno i nostri figli malmenati e pestati a sangue dalla polizia!

Cilenti, il compagno di Reggio alla direzione aveva parlato chiaro.

- Compagni, le contraddizioni sono molte. La situazione è drammatica. Sul piano locale della città la stessa base del PSI condivide le motivazioni attorno al capoluogo. Le condividono anche molti militanti dei sindacati. La rivolta è un fatto popolare di enormi dimensioni. Non è purtroppo sulla stessa linea la base socialista della provincia, la Ionica e la Tirrenica, e vi è purtroppo una linea diversa sul piano regionale e nazionale...

Silvano era sempre più amareggiato dalla linea del partito. Sicuramente l’amarezza era acuita anche dall’insoddisfazione della vita personale, ma quel PSI non gli piaceva. Stava troppo a ruota dei comunisti o, come con Nenni, aveva puntato troppo al governo con la DC.
Ci voleva un segretario diverso. Uno con le palle, che desse un’identità al partito, una linea propria.
Era l'ora di farla finita con la gestione meridionale del partito. Di finirla con quella politica meridionalistica. Ci voleva un uomo nuovo con una diversa visione, slegata dal meridionalismo.
Un uomo che sganciasse anche da ogni alleanza con i comunisti: un partito di canaglie, che non avrebbero esitato a immolare l’intera classe politica sugli altari dei tribunali.
Nulla di personale con Mancini, l’attuale segretario. Sicuramente un uomo per bene, ma aveva avuto troppa indulgenza per il meridione e la sua Cosenza.
La politica doveva avere un respiro più ampio e non localistico.

Silvano diveniva sempre più sospettoso e sentiva che il suo ruolo nel partito diventava scomodo.
Silvano si accorgeva di non avere amici. Una mancanza che anche Sabatina gli rimproverava. In politica conosceva un numero infinito di persone. Ma erano amici? Erano compagni, conoscenti, incontri, avversari…ma amici era una parola che non suonava come avrebbe dovuto suonare. Stonava.
Quando era giovane, aveva amici. Quelli sì, erano amici. Con loro condivideva passioni, amori, stupidaggini. Con loro rideva, soffriva, mangiava, beveva. Con loro si divertiva e si annoiava.
Ma poi la vita era cambiata.
Con le donne non era che fosse molto diverso. Erano amanti, compagne, puttane qualche volta. Ma non aveva una grande stima di loro, per quanto ne avesse bisogno. Alla fine si rendeva conto che l’unica donna di cui avesse stima era Sabatina, sebbene non l’amasse più.
In politica anno dopo anno era come se la terra sotto i suoi piedi tremasse per lo spostamento di masse tettoniche che ora spingevano in una direzione ora in un’altra, ora si sollevavano verso l’alto ora si inabissavano.
Le persone cambiavano. Anche le donne cambiavano. Ma Sabatina era la costante della sua vita. Ciò che sempre era e sarà.
Non la amava ma capiva che aveva bisogno di lei. Avrebbe sempre avuto bisogno di lei. Aveva la certezza che avrebbero finito i giorni insieme.
Quando? Quando quel giorno sarebbe venuto? E come?
Vi era paura in quelle domande. Vi era comunque anche un senso ineliminabile di curiosità. Quasi che la sua vita appartenesse ad un altro nel momento che si interrogava sulla propria fine.

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