Wednesday 22 November 2017

Marco Pantani - la distruzione di un mito (decima parte)




Un’e-mail

Ogni tanto Marco quando tornava dagli allenamenti dava un’occhiata al suo sito.
Tra le tante email che aveva ricevuto lo colpì quella di un ragazzo di Firenze: Rocco.
Io faccio il cameriere Marco. Lavoro dodici/quindici ore al giorno qualche volta. Non ce la faccio più ad andare avanti col mio lavoro. Io ti ringrazio per quelle vittorie al Tour de France. Hanno ridato luce, senso alla mia vita. Tu sei stato un raggio di sole nel mezzo della mia vita buia. Tu devi continuare a vincere. A vincere per me, per la gente come me, che hanno il coraggio di alzarsi la mattina e fare una vita che non gli appartiene più. Che vivono nel buio di un mondo che non è più il loro.
Non scomparire Marco. Fallo per me…per noi che crediamo in te.
Marco pianse. E tra le lacrime gli rispose.
Caro Rocco le tue parole sono bellissime. Ma io non me le merito. Voi vedete un mito in me. Ma io so di vivere sopra un profondo baratro. Io dovrei scendere in quel baratro. Dovrei andare là sotto. Affrontare quei demoni che si sono impossessati della mia vita. Dovrei andare lì e ucciderli. Allora potrei guardare in faccia te, e quelli come te che continuate a credere in un mito che loro hanno distrutto.
Ma ti sembra giusto che ci abbiano spiato, ci abbiano filmato, nudi, nelle nostre camere d’albergo. Ma perché?
Qualche volta ho la sensazione che il male mi stia divorando. Qualcosa mi brucia dentro e non so che sia.
A Cuba ho incontrato un coreano che mi ha detto che tutto nel mondo è una condizione del cuore.
Io non capivo e allora mi ha raccontato una storia di un monaco buddista, Samyong De Sa, vissuto 500 anni fa.
Lui organizzava la resistenza contro le incursioni giapponesi. E addestrava i monaci alle arti marziali. Quando fu catturato dai giapponesi fu chiuso, vivo, in un forno.
Si accese il fuoco. Si aspettò. Alla fine, si aprì di nuovo il forno, per prenderne i resti carbonizzati. Ma quando si aprì il forno trovarono Samyong De Sa completamente congelato. E ai suoi carnefici, aprendo gli occhi, disse: “Perché in questo luogo è così freddo?”
“Vedi” mi ha detto raccontandomi questo aneddoto ” tutto è una condizione di cuore. Una volta fu trovato uno morto congelato in una cella frigorifera. Ma perché era morto congelato? Per una condizione del cuore.
Si scoprì infatti che la spina della cella era staccata, e dentro la cella c’erano sì e no 16 gradi. Ma lui si era convinto di dover morire, perché uno che rimane chiuso in una cella frigorifera non può che morire congelato.”
Il cuore mi è stato strappato Rocco, e io farò come quello che è morto nella cella frigorifera. Qualcuno ha strappato il mio cuore e se l’è mangiato.
Qualcuno che è entrato profondamente dentro di me, un po’ per volta. E io non so perché. Ho solo fatto quello che sapevo fare. Ho sbagliato e non ho saputo reagire ai miei errori.
Un giorno qualcuno mi ha regalato della polvere bianca e da quel giorno non ho più avuto il cuore.
Ora è troppo tardi Rocco.
Tu non fare i miei errori. Io non sono il mito che tu vedi.
Il mito lo hanno distrutto.



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