Un giorno Giorgio era in un bar della stazione di Firenze - stava aspettando il treno per andare a trovare la madre a Pisa, che non vedeva ormai da un mese. Mentre beveva un caffè gli si avvicinò un cinese dall'aria insignificante. Ma aveva occhi larghi e profondi, come di uno che guarda e cerca con amore un punto al di là di questo mondo - la sua faccia era levigata quasi senza rughe e, tuttavia, i suoi capelli, corti, erano già brizzolati.
Probabilmente andava per la cinquantina, ma aveva lo sguardo giovane, eterno, senza tempo - eterno come quello di un bambino.
Si avvicinò a Giorgio che stava bevendo il caffè appoggiato al banco del bar. Il cinese, che poi si scoprì non essere cinese ma coreano, gli si fece sotto senza parlare.
Giorgio lo guardò per un attimo, smettendo di bere il caffè; sorpreso che volesse quel cinese ("di merda " pensò - Giorgio fu per tutta la sua vita ostico verso chi era portatore di culture completamente diverse).
Il "cinese" in un italiano quasi inesistente disse:
Io ti visto a scuola, voglio italiano con te.
Tu mi hai visto a scuola?
Sí
Ma in via de' Bardi?
Sí
Vuoi fare lezione di italiano con me?
Sí.
Ma dove? A scuola?
No, no...mia casa.
E gli porse un bigliettino. Vi era scritto un indirizzo di Firenze. Una parrocchia in piazza dell'Isolotto.
Ma qui vi è una parrocchia, una chiesa? Tu abiti qui?
Sì, io lí. Parroco, abito con parroco...Isolotto.
Il rapporto con quel sacerdote coreano fu breve. Poco più di sei mesi. Si chiamava Pietro. Era un sacerdote cattolico che era venuto in Italia per un intercambio con la parrocchia di Seoul a cui apparteneva.
Viveva nella canonica di un prete operaio dell'Isolotto.
I due erano profondamente opposti: il prete operaio pesantemente immerso nel sociale e politicizzato; Pietro invece passava quasi nove ore al giorno in meditazione, rapito, in un continuo dialogo con Dio.
E questo finí per creare attrito fra i due: il prete operaio e Pietro.
Per Giorgio, ancora ateo per tutto quel tempo, fu un periodo straordinario, conobbe cose che ascoltava a bocca aperta durante le lezioni con Pietro.
E da maestro si convertí in discepolo.
Pietro gli raccontava cose incredibili, che quasi stentava a credere ma che non poteva non credere dall'espressione sincera con cui Pietro gliele raccontava.
Per esempio, era difficile da credere, come gli narrava durante le lezioni d'italiano durante l'ora di conversazione, che Pietro era giunto all'ottavo livello di meditazione, che contemplava la vicinanza assoluta a Dio. Il nono e ultimo livello sarebbe stato la visione di Dio. L'unione con Lui.
Ancor più difficili da credere erano una serie di "parabole" per spiegare avvenimenti accaduti a Pietro da piccolo.
Fu così che, in quel periodo in cui si ritrovò da insegnante ad essere discepolo di Pietro, scrisse alcune favole coreane.
In una di queste immaginava Pietro piccolo, bambino, perché la faccia di Pietro davvero era quella di un bambino, e i suoi occhi grandi e sognanti in eterno quando raccontava quelle parabole assomigliavano a quelli di un bambino che si meravigliava di tutto.
E la sua pelle levigata e senza rughe pareva quella di un bambino.
Una di queste favole scritte da Giorgio in quel tempo fu la storia di alcuni miracoli operati da Pietro da piccolo e raccontati facendo uso di parabole.
Scrisse "Il Mago Di Goxian", cambiando di nome a Pietro e chiamandolo Paolo Nha.
Iniziava così la favola del Mago Di Goxian":
Un giorno ho conosciuto un grande mago. Un mago bambino. Paolo Nha.
Oggi i maghi non vivono più nei castelli o nelle foreste. Ma qui tra noi. Magari a prima vista gente comune. Ma a parlarci, a conoscerli, ti aprono a grandi segreti.
Paolo Nha ne ha fatta tanta di strada per arrivare qui per insegnarmi i suoi segreti.
Paolo ha tanti anni. Ma fuori è rimasto bambino e questo è il suo segreto. Lui viene dalla Korea. Da Seoul.
Prima ha vissuto sulle montagne. Lì ha imparato i segreti per rimanere giovane. Ma io pensavo da sempre di parlare con un bambino. E invece lui aveva tanti anni.
Lui mi ha sempre taciuto di essere così vecchio. Finalmente quando l'ho capito, gli ho chiesto come avesse fatto.
Lui mi ha risposto con tante parabole...
Una prima parabola riguardava il miracolo della sua nascita. Il titolo di quella parabola era "Una grossa tigre bianca preannuncia la nascita di Paolo Nha".
Come la nascita di Buddha fu preannunciata dal sogno di un elefantino bianco, che indolore penetrò nel corpo di sua madre, la regina Mahamaya, così una notte la madre della tigre di Goxian (il nostro Paolo) sognò di scendere da un'alta montagna.
A un certo punto si volse e vide che un'enorme tigre bianca la seguiva dappresso.
Ma come la madre di Buddha non ebbe né pena né paura. Si trovò in mano un bastone. E con quello cominciò a colpirla sulla testa.
Ma la tigre, come avesse le zampe legate, non reagì; e come quando un gattone riceva delle pacche sulla testa, si limitava ad abbassare la testa e a chiudere gli occhi.
La tigre, nel sogno, seguì la donna fin sulla soglia di casa. E nonostante la donna continuasse a colpirla perché non entrasse, la tigre voleva entrare.
In quel momento comparve la zia che gridò: "Perché non vuoi farla entrare?"
Così nacque la tigre bianca di Goxian, che mai si ribellò alla madre sua, che sempre seguì docile il suo volere quasi avesse le mani legate per non graffiare.
Privilegio dei predestinati è fin da piccoli manifestare segni prodigiosi che ci invitano a gioire, perché un grande destino li accompagnerà.
Si narra che Kala Devala fosse il primo a vedere il giovane Buddha. E quando vide il piccolo Siddharta prima rise e poi pianse.
“Perché piangete? Mio figlio sarà forse colpito da gravi sventure?” gli chiese allora allarmato il re Suddhodana, padre del bimbo.
Rispose Kala Devala “Ho riso perché ho avuto il privilegio di vedere un essere che, come ho percepito da segni particolari del suo corpo, è destinato a divenire un Illuminato, un Buddha. Ma se guardo al mio futuro scopro amaramente che non vivrò abbastanza per sentire i suoi insegnamenti. Ecco perché ho pianto. Gioisci o re poiché tuo figlio diventerà il re più grande del mondo!”
Anche Paolo quando aveva un anno manifestò i segni di un grande avvenire. Ebbe uno sfogo di febbre ombelicale sulla testa. Lui dice forse a causa delle bastonate che sua madre aveva dato alla tigre, in sogno.
Per il gran prurito continuamente si grattava la testa. E perciò sua madre gli legò le mani con una corda. Lui era solo nella sua camera.
Cominciò a cantare una specie di ninna nanna e le croste magicamente scomparivano.
In quel mentre ritornò la zia, e lo trovò avvolto in questo incantesimo. Lo prese fra le braccia e lo sollevò alto in cielo mentre versava copiose lacrime e un sorriso di gioia le illuminò il volto.
Ma un giorno Pietro se ne andò in silenzio - così com’era arrivato.
Lasciò Giorgio solo ma sveglio, lui che amava sempre bearsi di un sonno narciso.
Si addormentò di nuovo però in quel sonno narciso, senza Pietro, perché il mondo lentamente si riprende tutto quello che hai cercato di rubargli se una grande forza non gli si oppone, e come un fiume ritorna nel suo letto e riprende a scorrere.
Guarda la Croce, se cerchi quella forza! diceva Pietro.
Essa è il simbolo della nostra vita.
In essa c’è un livello verticale e uno orizzontale. Quest’ultimo è il mondo, limitato. E indica la relazione fra uomini, il vivere insieme degli uomini, tutto ciò che copre la luce della verità.
L’altro, il livello del verticale, è dell’illimitato, dove tutto è possibile. E’ rivolto, non più al rapporto uomo-uomo, ma uomo-Dio: uomo-luce.
Nel mondo viene sempre l’ora in cui s’incontra il punto d’intersezione di questi due livelli.
E’ un momento che si rivela solo a chi lo cerca, solo a chi cerca di togliere le macchie che avvolgono la luce, quella luce increata che ci portiamo dentro fin dalla nascita.
Quando si taglia un albero, nel tronco si palesano tanti anelli concentrici. Ogni anello è una macula che ha avvolto, nascondendola, la luce. Così è l’uomo, se cerca la luce. E deve eliminare, buttare via tutte quelle macule che dalla nascita l’hanno coperta. Fino a raggiungerne il centro.
Ma prima e prima di tutto, il primo atto di inizio è sempre quello: dire sì o no, a questo mondo.
Pietro sparí.
Le ultime sue parole furono "Domani devo andare in Vaticano. Ma fra una settimana ritorno. Ti chiamo. E riprenderemo le lezioni."
Non chiamò e passò più di un anno.
Un giorno suonò il telefono di casa.
Giorgio rispose.
Ciao - sono Pietro. Sono stato molto malato. Sono quasi diventato cieco. Se non fosse stato per le suore del monastero sarei morto.
Parlava un italiano perfetto.
Pietro, che sorpresa! Ma parli in italiano perfettamente! Hai continuato a studiare in Corea?
No, non l'ho più studiato...
Ma allora come fai a parlare così bene?
È Dio, è Dio che mi dà questo dono - finalmente mi sono unito a lui, ho raggiunto il nono livello.
Guarda la Croce, se cerchi quella forza! diceva Pietro.
Essa è il simbolo della nostra vita.
In essa c’è un livello verticale e uno orizzontale. Quest’ultimo è il mondo, limitato. E indica la relazione fra uomini, il vivere insieme degli uomini, tutto ciò che copre la luce della verità.
L’altro, il livello del verticale, è dell’illimitato, dove tutto è possibile. E’ rivolto, non più al rapporto uomo-uomo, ma uomo-Dio: uomo-luce.
Nel mondo viene sempre l’ora in cui s’incontra il punto d’intersezione di questi due livelli.
E’ un momento che si rivela solo a chi lo cerca, solo a chi cerca di togliere le macchie che avvolgono la luce, quella luce increata che ci portiamo dentro fin dalla nascita.
Quando si taglia un albero, nel tronco si palesano tanti anelli concentrici. Ogni anello è una macula che ha avvolto, nascondendola, la luce. Così è l’uomo, se cerca la luce. E deve eliminare, buttare via tutte quelle macule che dalla nascita l’hanno coperta. Fino a raggiungerne il centro.
Ma prima e prima di tutto, il primo atto di inizio è sempre quello: dire sì o no, a questo mondo.
Pietro sparí.
Le ultime sue parole furono "Domani devo andare in Vaticano. Ma fra una settimana ritorno. Ti chiamo. E riprenderemo le lezioni."
Non chiamò e passò più di un anno.
Un giorno suonò il telefono di casa.
Giorgio rispose.
Ciao - sono Pietro. Sono stato molto malato. Sono quasi diventato cieco. Se non fosse stato per le suore del monastero sarei morto.
Parlava un italiano perfetto.
Pietro, che sorpresa! Ma parli in italiano perfettamente! Hai continuato a studiare in Corea?
No, non l'ho più studiato...
Ma allora come fai a parlare così bene?
È Dio, è Dio che mi dà questo dono - finalmente mi sono unito a lui, ho raggiunto il nono livello.
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