Giorgio cadde sempre più giù, perso, senza Dio, ma guidato da un’idea di univocità che lo avrebbe poi portato verso il punto a cui tutto tendeva.
Proiettava, proiettava sempre qualcosa su qualcos’altro senza mai intuire che proiettasse. Proiettava qualcosa che gli veniva da lontano ma di cui non riusciva nemmeno ad avere minimamente coscienza.
Erano per lo più sogni, manie di grandezza, di gesta nobili, o ignobili anche, per cui la sua realtà veniva sempre a cadere sotto quelle proiezioni.
Proiettava sulle cose quegli aspetti che gli erano subito e di per sé evidenti e quei sentimenti interiori che gli venivano dal sangue e dall'intestino gli erano i più immediati e di per sé evidenti.
Silvia cresceva - ormai aveva cinque anni. Giorgio e Silvia erano praticamente inseparabili.
A quell’epoca Silvia sembrava non essere affetta da quei fantasmi che Giorgio, cominciò più tardi a pensare la perseguitassero. Sembrava nata felice, febbrile.
Non denunciava niente di quelle proiezioni che invece avevano sempre dominato il padre fin da piccolo.
Spesso a luglio facevano delle belle passeggiate sul lungarno. E parlavano. Parlavano tanto. Per ore parlavano. Tante cose avevano da dirsi allora.
Sai babbo che stanotte nonno è venuto a sedersi sul letto? Ho sentito qualcuno sedersi sul bordo del letto, mentre dormivo. Ho sentito una mano accarezzarmi i capelli. Ho aperto gli occhi. Era Nonno.
Sei sicura Silvia? Non sognavi?
No, non sognavo. Perché non mi credi?
Ti credo, Silvia. Ti credo. I morti vivono. Noi pensiamo che muoiono, ma non muoiono. La vita è un seme, in sé contiene l’esser qua ma anche l’esser là. La morte è senza tempo; è qui ed è là.
Là dove babbo?
Là dove possiamo solo sentire che qualcosa è ma non vediamo.
Perché non vediamo?
Perché non ascoltiamo il cuore. Voi bambini lo ascoltate. Noi adulti no. Pochi lo ascoltano
Perché noi bambini lo ascoltiamo?
Perché siete più vicini alla luce.
Perché siamo più vicini alla luce?
Perché siete nati da poco.
Tu ascolti il cuore babbo?
Sì, Silvia. Io lo ascolto.
Perché?
Perché in fondo sono un bambino come te. Un bambino grande.
Che bello babbo, che sei un bambino grande!
Mah…questo proprio non lo so…qualche volta vorrei essere più adulto..
Che profondità esistono in un essere umano? Qualche volta si chiedeva Giorgio dopo quelle lunghe passeggiate con Silvia.
L’essere umano è come la storia del mondo, se scendi in profondità puoi arrivare ad abissi inimmaginabili.
Fino all' abisso di Atlantide, fino al giorno in cui sprofondò nelle profondità dell’oceano.
Ma chissa perché pensava ad Atlantide?
Forse perché la storia di quel continente lo affascinava e gli appariva come l’abisso degli abissi dove tutti confluivano. L’abisso su cui tutti le civiltà si erano sviluppate.
E questo lo faceva di nuovo pensare a sé, al suo corpo, alle voragini che nasconde dentro di sé.
Fino all' abisso di Atlantide, fino al giorno in cui sprofondò nelle profondità dell’oceano.
Ma chissa perché pensava ad Atlantide?
Forse perché la storia di quel continente lo affascinava e gli appariva come l’abisso degli abissi dove tutti confluivano. L’abisso su cui tutti le civiltà si erano sviluppate.
E questo lo faceva di nuovo pensare a sé, al suo corpo, alle voragini che nasconde dentro di sé.
Come era possibile che un corpo (il suo) tenesse in sé tutti quegli abissi?
Tutti gli incontri che fai nella vita, tutte le persone che hai incontrato e se ne sono andate, alla fine sono abissi profondi che rimangono aperti per sempre come mostri, se non riesci a sanarli.
Come potere portarli in superficie?
Tutti gli incontri che fai nella vita, tutte le persone che hai incontrato e se ne sono andate, alla fine sono abissi profondi che rimangono aperti per sempre come mostri, se non riesci a sanarli.
Come potere portarli in superficie?
Tanti anni dopo li portò in superficie:
Seduto in treno guardo la porta.
S' apriva, ne usciva uno e poi altro.
Gli incubi della mia vita trasporta.
Molti li conoscevo - incontrati
ne avevo. Altri non riportavo indietro.
Si allargava la porta e a tratti
Erano nuovi. Ma chi era oltre?
Dopo la porta? Mi sono alzato
Dal mio posto e oltre le torte
Anime andato e si spalancava.
Un metà uomo v'era per un lato,
Per un altro donna, che li figliava.
Le gambe aperte lorde di sangue
Le apriva che uno e altro dato
Li partoriva di suo ventre pingue.
"Tu chi sei?" Lo supplico, io perduto.
"La tua nutrice. Ti sei tu scordato?
Ora mi han preso e incompiuto
Genero i mostri di lor sortita.
Né so chi sono e metà e metà
Duro e per loro gli creo vita."
Ma era altro. Altro da me. Un eccesso
del male lontano - a me chiedeva
Il riconoscersi qui e adesso?
Io chiudevo però a lui la strada.
E lui all'infinito la tendeva
che d'una e altra parte sempre accada.
Da una di quelle proiezioni era nata Silvia.
La sua sete di amore e di ingenuità lo aveva fatto innamorare della donna più sbagliata che ci fosse.
Aveva proiettato su di lei quella sete di amore che gli aveva fatto credere in lei, che lei fosse quella che in realtà non era.
Era rimasta incinta. Forse lo aveva fatto anche di proposito. Ma su questo non poteva giurarci.
Rimasta incinta aveva raggiunto il suo obiettivo. Lui non aveva più un ruolo nella vita di lei.
Io posso vivere anche senza di te. Gli aveva detto. Posso vivere con Silvia anche senza di te. Se vuoi stare con noi puoi, ma se vuoi non riconoscere Silvia, per me non è un problema.
Rimase Giorgio. Il suo amore per Silvia era senza limiti. Non poteva stare nemmeno mezza giornata senza vederla. E Silvia era totalmente persa e innamorata di suo padre.
Rimase per molti anni ancora, ma un giornò se ne andò.
E le parole di Silvia gli rimasero scolpite nell’anima.
Grazie babbo che te ne vai. La vita fra te e mamma era divenuta un inferno. Forse ora sarà meglio.
Aveva quindici anni Silvia, quando Giorgio se ne andò.
Non fu facile. Tante notti in macchina andava sotto la finestra e guardava la luce illuninata della cameretta di Silvia e piangeva in macchina con la voce di Janis Joplin che fuoriusciva dalla cassetta del mangianastri della radio che lo stordiva in macchina, come un anestetico quasi letale.
Curò il dolore con le urla di Janis Joplin, mese dopo mese.
Quando il dolore sembrò passare non ascoltò più Janis Joplin. Quella voce glielo aveva anestizzato. Orbato. Ora anche una parte di sé era morta. Non c’era più. Per sempre.
Silvia crebbe e poco a poco prese la sua strada, che tendeva ad allontanarsi da quel padre che la voleva uccidere in seno alla madre.
Forse anche Silvia cominciò a vivere secondo certe proiezioni che determinano la vita di un uomo.
Il carattere è demone all’uomo.
I fantasmi nascon presto
Già prima che sia la luce
Nel liquido primordiale
Della madre che ci porta.
Hai avversione perché
Io il tuo fantasma morta
Ti volevo. E non puoi
Interamente me amare
Se io a te la tua vita
Quando come uovo quasi
Ancora in brodo cosmico
Respiravi di ucciderti
Parlavo alla tua madre
Per interna debolezza
Per idiozia d' un uomo
Che non ancor uomo era
E le palle non aveva.
Per questo Silvia ti adoro
E capisco il non darti
Il tuo da me ritenerti
Diffidente e distante
Il tuo star non vicino
Me padre - me - l' assassino.

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