Skip to main content

Italia un povero paese morente e inetto






Questo articolo nasce da un riflessione di Massimo Fini sopra il vino che non sarebbe un fatto economico ma soprattutto un fatto culturale, in COME DON CHISCIOTTE. Potremmo anche in linea di principio essere d'accordo con Massimo Fini. Soprattutto vivendo all'estero ti rendi conto di come attorno ad ogni atto di aprire e gustare una bottiglia di vino in Italia vi siano tanti universi culturali. Come aprire in modo corretto una bottiglia. Quanto tempo prima aprire una bottiglia, in riferimento all'annata. Temperatura giusta a cui bere un rosso o un bianco. Combinazione vino cibo...

Ma nell'articolo di Fini vedo anche tanta arroganza italica, come in "che cosa vogliono sapere di vino quegli zotici degli americani".

Fini come quasi tanti italiani (tutti o quasi tutti) crede, e pretende, che quello che è Vangelo in Italia sia anche Vangelo negli altri paesi del mondo. In tanti paesi il cibo e il vino italiano sono solo una sovrastruttura rispetto alle loro strutture sociali e culturali, di cui possono fare anche ben a meno. Caso lampante la Russia, che a causa delle sanzioni ha fatto benissimo a meno delle scarpe italiche e delle mozzarelle italiche, anzi è più florida di prima.

In paesi dove il whisky o la birra sono la bevanda tradizionale il vino poco o nulla aggiunge al loro modo di concepire il convivio fra esseri umani. Come la pasta. In Italia gli italioti credono che dappertutto la pasta sia il PIATTO par excellence. Ci sono paesi in cui la pasta viene considerato un piatto povero, di poco nutrimento e soprattutto nocivo per le infiammazioni che l'uso ripetuto di farine potrebbe comportare.

Un altro punto che mi preme ribattere è quando Fini dice "noi italiani siamo incapaci di promuovere i nostri prodotti" per ribadire che l'aspetto economico è secondario a quello culturale. Per questo gli italioti non si impegnerebbero nel promuovere i loro vini all'estero. Questo è vero e non è vero.

Una caratteristica dell'italiota è quella di crescere i prodotti per se stesso. Di produrli per se stesso. Del cercare ogni pretesto per non venderli in quanto si ha dispiacere a privarsi di un prodotto bello e buono. Questo va ricercato nell'atteggiamento mentale dell'artigiano che sta alla base della creatività italiota nel food and beverage, tutta incentrata nel creare il bello e il buono senza mai curarsi troppo della sua commercializzazione, e soprattutto nel conferire un valore universale alle sue creazioni quando invece è regionale e molto spesso localissimo: come se il tarallo o la fresella buonissima e popolarissima in Puglia fosse attesa in tutto il mondo e il mondo non potesse vivere senza quel prodotto unico del genio pugliese. Questo atteggiamento alla fine sconfina nella pigrizia mentale e nella ignavia, nell'incapacità di uscire dal proprio provincialismo, tipicamente italiano.

Ma vi è un altro aspetto. L'inettitudine e l'impreparazione delle aziende italiane a vendere all'estero. Le aziende italiane hanno strutturato soprattutto il loro prodotto per l'Horeca mentre all'estero salvo pochi e noti paesi limitrofi (Germania, Francia, Austria...) hanno tutto strutturato per la grande distribuzione. Per cui sia la visione produttiva che i prezzi finali delle aziende italiane fanno a pugni con la visione della grande distribuzione, la loro struttura e la visione dei prezzi e della qualità.

Inoltre gli imprenditori italiani, anche i più grandi (ci saranno pure eccezioni ma le devo ancora trovare) sono paurosi, burocratici, mai pronti a vendere ma sempre pronti a creare problemi per non vendere, sono spesso viziati dal troppo benessere a cui sono abituati dal mercato interno che  ha prodotto un'arroganza che pretende solo di lavorare con alti volumi e alle condizioni che loro pensano di poter imporre al mondo intero. Loro che vivono in un piccolo paese che politicamente non è nemmeno indipendente ma eterodiretto,

Ma non solo. Alla base della loro incapacità vi è la pigrizia, come dicevo sopra, di voler uscire da quella mentalità postbellica in cui il 98% dell'industria italiana è sempre immersa: così hanno fatto i miei nonni, così ha fatto mio padre e così faccio io...In Italia vi è una larga parte della popolazione talmente ricca da poter continuare a vivere come loro pretendono di vivere per cent'anni ancora senza impegnarsi oltre il minimo sindacale. E comunque anche i meno ricchi riescono a vivere per inerzia nella scia del ritmo e stile di vita imposto dalle classi ricche, lavorando la parte infinitesimale necessaria e indispensabile e senza visione innovativa ma sempre vecchia e angusta. Sostanzialmente nell'imprenditoria si riflettono i tratti tipici dei vizi italici: pigrizia, indolenza, menefreghismo, arroganza, individualismo, provincialismo, presuntuosità e arroganza, voltagabbanismo, e troppo benessere che ha prodotto un popolo ritardato, idiota e istupidito (salvo una piccola minoranza che invece è di un livello culturale e preparazione assai elevati ma che comunque potrebbe al massimo arrivare al 2% o al 3% volendo esagerare).

La domanda da porsi è semmai: come fece l'Italia a diventare la quarta potenza mondiale vista la qualità popolo che ha avuto finora a disposizione?

La risposta è difficile. Innanzitutto bisogna dire che la popolazione italiana fino al '68 (annus horribilis) aveva altre qualità morali ed etiche e altro livello culturale. Ma visto come va il mondo viene il sospetto che fino al '92 faceva probabilemente comodo un'Italia forte economicamente, a certi poteri che muovono il mondo. Fino al '92 faceva comodo una certa Italia politica ed economica. A partire dalla caduta del Muro di Berlino e dell'URSS questa Italia non faceva più comodo e l'Italia è stata ridimensionata, semplicemente sfasciandola e abbandonandola alla propria inettitudine sociale e mentale e politica soprattutto.

Ma questo gli italioti non l'hanno capito e arroganti come sono vivono nella grandezza del loro passato per guardare da ciechi alla loro pochezza e imbecillità del presente. Un popolo morente ormai. Se ancora si salva l'Italia, si salva infatti per il suo passato e per l'immenso patrimonio culturale e artistico e paesaggistico che possiede, che forse vale più dell'oro di tutto il mondo depositato in una banca.

Comments

Popular posts from this blog

Fasting to reconnect your "Self" to your body

If there is a discrepancy between yourself and the body, between what you are and what you don't feel you are in your body, then fast, because there is excess to remove in the body. Through the stratifications of fat, the material that alienates you is deposited in the body. Removing decades of fat you remove the "Self" from its impediments to be reconnected with the body. Start thinking about fasting and wait for the right moment. Your body has its own indicators; it will signal when it is the right time to start fasting. Fasting is not a mere physical fact. It is changing the spirit of a time that has become stranger to us and that lives in us in order to alienate us to ourselves. Impossible to fast, without implying a change of the inner spirit. Those who fasted in the Old Testament did so to invoke great changes in life. Jesus himself fasted for forty nights and forty days and after fasting he was ready and strong enough to resist the devil and was ripe for his minist...

Poetry dwells near the divine light's breath

  The comparison between poetry and divine light that we proposed HERE finds its perfect explanation in Saint Paul, Letters to the Romans I,19: τὸ γνωστὸν τοῦ θεοῦ φανερόν ἐστιν ἐν αὐτοῖς, ὁ ⸂θεὸς γὰρ αὐτοῖς ἐφανέρωσεν , what can be known of God was manifested to them (in men), indeed God manifested to them. Poetry unveils in the human being the need to be human, i.e.the need for Beauty, for feeling the Beauty in itself and with itself, and this feeling is supported by the divine light. As we are influenced by the idea of Saint Augustine of saeculum , we maintain that poetry belongs to the saeculum and therefore stops on the threshold of the divine light [ I] without crossing that threshold, but it senses the light beyond that threshold. We are taken to that threshold by the human feeling of Beauty within us that leads us up to there: up to that door that it is not possible to cross in our being human, but nevertheless, the very dwelling on that threshold is illuminated by the ve...

Similarities between Lithuanian, Sanskrit and Ancient Greek: the sigmatic future

by Fabrizio Ulivieri Lithuanian is the most archaic among all the Indo-European languages spoken today, and as a result it is very useful, indeed, indispensable in the study of Indo-European linguistics. The most important fact is that Lithuanian is not only very archaic, but still very much alive, i. e., it is spoken by about three and a half million people. It has a rich tradition in folklore, in literature, and it is used very successfully in all walks of modern life, including the most advanced scientific research. Forced by our interest for this piece of living archaism, we go deeper in our linguistic survey. One of the most noticeable similarities is the future (- sigmatic future -). Lithuanian has preserved a future tense from prehistoric times: it has one single form, e.g. kalbė-siu 'I will speak', etc. kalbė-si kalbė-s kalbė-sime kalbė-site kalbė-s This form kalbėsiu is made from the stem kalbė-(ti) 'to speak', plus the ancient stem-end...