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Essere mio padre - III

 





Claudia lavorava al secondo piano. Aveva avuto momenti difficili, ma ora davvero aveva tanto lavoro.
Per assurdo era stato proprio durante il lockdown del 2020 (tre mesi pazzeschi di lockdown) che aveva capito che ce l’avrebbe fatta. La disperazione di un’imposizione assurda di trovarsi priva della libertà naturale e di essere costretta a quella sorta di arresti domiciliari l’aveva fatta immergere nel lavoro. Aveva prodotto tanti capi di abbigliamento che nemmeno lei sapeva a che scopo.
Ma come spesso avviene per una sorta di eterogenesi dei fini, quello che soffriva e pativa ogni giorno di quella prigione, di quel gulag che si espandeva non solo all’Italia ma al mondo intero, aveva portato a dei risultati positivi.
Si era impratichita del lavoro, aveva trovato finalmente il tempo di rivedere, studiandoci sopra, tanti errori di esecuzione che prima commetteva e soprattutto aveva costruito un campionario da mostrare ai clienti.
E quando finalmente le restrizioni si allentarono e la gente riprese a sperare di poter vivere come prima ebbe materiale da mostrare che le portò sempre più nuovi clienti.

La frase “eterogenesi dei fini” a lei piaceva. Gliene aveva parlato suo padre, che durante i giorni del lockdown la chiamava spesso, e parlavano. Parlavano mentre lei cuciva e tagliava.
E parlavano anche di filosofia. A Claudia la filosofia piaceva.
E un giorno suo padre, le disse: vedrai che quello che oggi ti sembra un male, e lo è in effetti, domani per una sorta di eterogenesi dei fini si convertirà in bene.
Claudia non l’aveva mai dimenticata quella frase. Le era rimasta scavata nella mente.
E ora che suo padre non c’era più era divenuto il cammeo in cui aveva incastonato la memoria di lui.

Claudia, a differenza di Silvia, non aveva mai troncato la comunicazione con suo padre.
Magari ad alti e bassi, ma l’aveva continuata.
Era difficile trovare il tempo per un padre, soprattutto lontano, difficile come era suo padre. Ma nonostante ciò nei ritagli di tempo riusciva ad incastrare anche qualche decina di minuti per parlare con lui.

Silvia, con Claudia aveva sempre avuto un rapporto verticale nel senso di essere la sorella maggiore, e come tutte le sorelle maggiori di stare su un gradino più alto del piedistallo è normale ed è consuetudine, ed era quello che anche Claudia in fondo accettava e non poneva in discussione assumendo lei appunto il ruolo naturale per converso di sorella minore, e in fondo le faceva comodo a lei che decidere le costava sempre in termini di energia mentale a cui volentieri si sottraeva, ed era più facile ricevere i consigli e forse metterli in pratica in virtù dell’autorità da cui venivano, che cercare le soluzioni sbagliando e soffrendo in prima persona. E finora si era sempre schermata dietro la figura di Silvia.
Ma ora qualcosa era cambiato. La pandemia e i lockdown le imposizioni assurde quanto illigettime a non finire degli uomini di paglia che regolavano dalle loro posizioni di potere la vita dei popoli aveva lasciato anche in lei un segno profondo. E un po’ l’aveva trasformata. Aveva imparato a prendere di petto le situazione. E’ vero che la distruggeva mentalmente e la gettava in un buio senza luce, ma per istinto ormai i consigli che la sorella gli dava non corrispondevano all’istinto forte in cui si era negli ultimi mesi radicata.
E questo lottare in prima persona senza riposare sugli aiuti altrui l’aveva condotta a cercare dentro di sé ciò che ora voleva lei e non quello che per gli altri era giusto che fosse.
Era caduta in depressione, è vero, e in fondo non era mai stata la sua natura quella di affrontare la vita senza schermi protettivi, ma ora lo era divenuta, ed era prorpio un frutto che regalava una società che mentre si sgretolava sotto l’autoritarismo di decisioni apparentemente illogiche e assurde, e permetteva a lei, che aveva quasi incosciamente colto i segni della falsità che seccava il respiro, di emanciparsi rispetto a quella tendenza impressa alla società che avrebbe voluta travolgerla e ridurla ad un assoggettamento totale. In realtà cresceva, si liberava e acquistava coscienza e forza. Certo scientia auget dolorem e in lei il dolore ora era divenuto molto forte, quasi insopportabile.
Per questo ora era in cura dallo psichiatra, assumeva psicomedicamenti, e alternava lucidità e totale disperazione, ma d’altro lato sapeva che voleva adesso e continuava a perseguirlo nonostante tutto, e quegli psicofarmaci li assumeva solo per controllare il livello di dolore in attesa di poterlo definitivamente governare senza il loro aiuto ma in nessun modo la distoglievano dalla svolta che aveva impresso alla sua vita grazie alla pseudopandemia.

E così ora Silvia veniva a lei, quasi invertiti i ruoli. Claudia sapeva più del padre che lei e voleva venire in possesso di un punto di vista che lei non aveva. Per questo veniva da Claudia, subalterna.
Aveva Claudia affittato una casa in via della Repubblica, quasi dirimpetto alla Unicoop di Santa Maria.
Al secondo piano viveva e lavorava. La stanza da lavoro non era grande ma luminosa.
Era un edificio relativamente nuovo rispetto agli edifici che lo circondavano. E aveva una strana forma ad angolo isoscele.
Silvia suonò il campanello, fu aperta e salì le scale. Quando arrivò alla porta bussò.
Claudia aprì la porta.

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