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La swerve comincia da lontano - I Vitelloni di Federico Fellini (1953)




Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, “persuasore permanentemente” perché non puro oratore – e tuttavia superiore allo spirito astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane “specialista” e non si diventa “dirigente” (specialista + politico) - Antonio Gramsci

In un pomeriggio grigio e pieno di pioggia e uggioso di metà settembre, nel paese dove vivo, che potrebbe essere paragonato a uno dei peggiori novembre in Italia mi è capitato di rivedere il film di Fellini "I Vitelloni".

E' un film del 1953. Un'altra Italia. Dal mio punto di vista la vera Italia, quella che mi ricordo, ancora immersa nella tradizione contadina e cattolica di Papa Pio XII, ante Concilio Vaticano Secondo che ha travolto poi l'Italia con il modernismo e il relativismo.

Eppure già vi si scorgono i prodromi del disastro attuale. E mi ritengo fortunato a poter fare questo confronto, ad aver vissuto e vivere entrambe le realtà.

Il primo signum è la comparsa di Alberto Sordi, un attore che io ritengo responsabile, al pari di Berlusconi che però ha solo concorso l'ultimo ventennio a rimbecillire un popolo che già nel film di Fellini era pronto a ricevere i signa che prefiguravano l'attuale imbellità e ignavia del popolo italiano.

Dicevo di Alberto Sordi, un attore che ha contribuito con i suoi personaggi a costruire la figura dell'italiano codardo, vigliacco, opportunista, falso, bugiardo ma che alla fine ha sempre, seppur meschino in tutto, un grande cuore. Lo ritengo altamente colpevole di aver influenzato e convinto con i suoi personaggi il popolo italiano che si potesse vivere, approfittare della vita e far carriera seguendo i suoi stilemi.
Uno stilema su tutti è il gesto del manico dell'ombrello che fa dalla macchina verso i lavoratori.

I vitelloni sono sicuramente la visione di un popolo infingardo, infantile, mendace che agisce solo per soddisfare le opportunità e i propri infantili egoismi e sempre pronto a rinnegare se stesso quando gli convenga. Il carattere che nel film meglio esemplifica questo oltre ad Alberto (Alberto Sordi) è Fausto (Franco Fabrizi).
Soprattuto il cibo, è l'onnipresente divinità italica, che incombe anche nelle situazioni più drammatiche, rassicurando la pancia potrai affrontare e accettare anche il destino più tragico, come quando scomparsa Sandra, moglie di Fausto, con la bambina  entrambe introvabili, e  si  teme il peggio, il meschino protoitalico di tutti gli italici di oggi, Alberto (Alberto Sordi- sic!), si preoccupa di mangiare innanzitutto e non della sorte di Sandra e della bambina.
Quando agli italiani si toglierà il piacere principe della pancia solo allora questo popolo (la maggioranza) imbelle e egoista troverà la rabbia della rivolta. Non prima. Inutile illudersi. E' un popolo con la pancia troppo piena per ribellarsi.

Mi hanno anche colpito gli accenni di omosessualità abbastanza evidenti nella figura dell'attore ormai sul viale del tramonto Sergio Natali (Achille Majeroni) e suggeriti (pedofilia pure?) anche e probabilmente dalla immatura quanto malinconica ed enigmatica figura di Moraldo (Franco Interlenghi). Omosessualià che se in quegli anni saliva in superficie come latenza di una passione carnale personale oggi ha dilagato nell'omosessualismo ideologico e autoritario. O i riferimenti a presunti autori di scarsa talento che magari poi nella realtà, come Pavese di cui salvo solo un paio di poesie e Vittorini e Moravia...e che rivedo nella figura del commediografo Leopoldo (Leopoldo Vannucci), che pur non dotati si sono potuti solo affermare con il sostegno del PCI, senza il quale non avrebbero avuto chance.

A distanza di anni il film mi appare come modesto, lento, con uggiosi insistimenti sulla Weltanschauung felliniana del mondo sub specie circi, tanto caro a Fellini. e sul mito, in quegli anni molto radicato, del "partire", dell' "andare via", che oggi è diventato non più un mito ma una condanna sofferta particolarmente da quegli italiani capaci, intelligenti, coraggiosi che non si vogliono piegare alla dittatura che in Italia, come ha rilevato recentemente Cacciari, è in fieri da circa 15 anni. 
Allora era un mito di libertà oggi è un esilio forzato.
Mito della libertà tout court che, estrapolandolo dal film, sembra appunto celare molto di più, ovvero il disagio incipiente verso la famiglia che sfocerà nel disastro del Sessantotto, culminando nell'aperta ribellione verso la famiglia e ogni ordine di potestas  non solo del paterfamilias ma di qualsiasi altra auctoritas sociale o religiosa. Prodromo, per di più, di ogni libertà verso l'autodistruzione di ciascun valore tradizionale fagocitato poi ad infinitum dal marxismo degli intellettuali organici tanto cari al PCI.
E questa Italia di oggi, quella che vediamo felice di essere schiava e tiranneggiata ( la maggioranza) da quelli che liberamente vengono accettati come classe dirigente al potere e divengono i loro propri aguzzini criminali, è il risultato di quei signa che già fanno capolino nel film di Fellini, I Vitelloni, e che allora illudevano il popolo come segnali di un nuovo mondo migliore e più felice rispetto al tetro mondo della tradizione.


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