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Nessuno ti conosce così bene come me - Parte Terza









An vero vitam polluit consortium nefariorum hominum,
si se inserant affectionibus et assensionibus nostris,
et vitam non polluit societas daemonum, qui coluntur criminibus suis?[1]

(Sant’Agostino)

Ma un mattino lui si alzò e si sentì demotivato. Sentì la carne sopra tutto, perché anche la carne ha le sue ragioni, perché il corpo è anima e l’anima è corpo.
E sentì che il suo modo di pregare era sbagliato, il suo modo di vivere anche. Che la sua anima-corpo aveva perso lo spirito del ribelle, lo spirito del guerriero, di Jan Sobieski alle porte di Vienna.
Ma dov’era finita la ribellione, i giovani ribelli?
Un‘onda quietista aveva travolto la gioventù, ne aveva depauperato gli ormoni.
Si scendeva in piazza per una squadra di calcio che aveva vinto il campionato ma non per la libertà. I popoli amano la schiavitù e non sanno gestirsi la vita da uomini liberi: quae dii expetant, populi exhibeant.

Fin da piccola che provo a distruggere me stessa...ricordo che mi sentivo così brutta che non potevo vivere...ora come ripenso...era tutta vita che mi tormentavo fino a farmi male…senza godere della vita…senza gioia. Lei non migliorava e sembrava peggiorare nelle sue sofferenze, acuite dalla situazione economica ormai oppressa anche dai debiti. 
Trovava sollievo tuttavia ad andare ad un laghetto, non distante dalla loro abitazione. Erano circa sei chilometri. Attraversava dei pezzi di foresta, passava lungo l‘autostrada, poi la scavalcava passando su di un ponte sopraelevato, infine allungava per dei campi dall‘aria desolata fino ad arrivare ad un quartiere residenziale che assomigliava in verità più ad una moderna caserma per soldati. Lì vicino, nascosto dagli alberi, vi era il lago. Si inoltrava lungo una stradina che induceva fra alti arbusti e pini sulla sinistra e una serie di ville sulla destra che cedevano poi spazio a una pineta e dopo la pineta finalmente si apriva la spiaggetta del lago, che era di vera rena.

Il lago si mostrava subito di autentica bellezza, e intensa poesia. Aveva colori morbidi in estate e da fiaba del nord in inverno quando la superficie si gelava completamente.
Rigavano le sue acque anitre e spesso planavano cicogne che impressionavano per la grandezza.
In estate molti vi andavano a bagnarsi e a prendere il sole. In inverno era consuetudine andarci da parte di coloro che amavano immergersi nelle acque gelate. Lo facevano per la salute. Un bagno nell’acqua gelida preserva dalle malattie perché rafforza il sistema immunitario. E dà energia. Per quel motivo lei vi si recava. Per ottenere energia. Era sempre deficiente di energia.
Dopo l’immersione nelle acque gelide del lago vedevi la trasformazione. Il suo volto acquistava luce, gli occhi brillavano. E soprattutto compariva il sorriso su un volto spesso triste e sofferente.

Tai yra mano rojus [2]– diceva in lituano.

 E quando guardavo negli occhi le sue figlie, vedevo lo stesso cuore incarnato che rideva negli occhi dopo il lago. Lo stesso cuore buono della madre che diceva čia mano merginos [3]. E capivo il mistero della carne e dei suoi spregiatori che non vedono in essa il corpo dello spirito, del bene e del male che agita l’uomo, lo scuote e lo espone alla decisione, alla libertà di decidere che molti, i più, si negano per paura e incapacità di andare oltre la carne e di essere a tu per tu con quello spirito che in essa convive. In lui però palpitava un altro cuore. Il cuore del padre ribelle. Mai domo, sempre inquieto. Carne antiqui seminis suscepta.
Un lignaggio etrusco il suo, indomito, istrionico, cinico, insofferente, sanguigno nato nei borri di Volterra, che il padre si era portato dietro nella rinascita dell’Italia dopo la guerra.
Quella sua carne dura, sfrontata, dallo spirito ribelle trovava ora pace in quei cuori femminili remissivi e dolci di una famiglia che non era la sua, che lui non aveva più famiglia, non aveva più passato. In essi si adagiava e riposava e a loro insegnava la ribellione che gli apparteneva per diritto di nascita. 

Lei, la madre, soprattutto imparava. E pur tra le continue quotidiane lacrime apprendeva lo spirito di quella ribellione che non era la sua, che apparteneva ad un popolo la cui volontà era stata immiserita da decenni di occupazione sovietica. E ora sotto il nuovo comunismo globale, imparava la resistenza che non aveva conosciuto prima ma non era più una resistenza solo politica, era resistenza al male, al male dell’inganno di una carne che aveva dimenticato lo spirito e voleva divenire lei stessa lo spirito che rinnegava. La carne del diavolo.

Si chiese allora, lui, se quella unione, quella nuova unione di due carni diverse non avesse indebolito e fiaccato la sua.
Per quello decise che la sua preghiera non sarebbe la preghiera quietista dei cristiani quietisti ma la stessa preghiera che portavano nel petto i cuori di Lepanto e di Vienna. I cristiani della spada e del rosario.

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[1] Se può contaminare la nostra vita una società di uomini empi, facendo leva sui nostri affetti e sulle nostre scelte, non potrà allora contaminare la nostra vita un consorzio di demoni, che vengono pure onorati per i loro inganni?
[2] E’ il mio paradiso
[3] Sono le mie bambine

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