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L'uomo impermanente (parte prima)





Foto Živilė Abrutytė



Molte le cose inquietanti, nulla di più inquietante dell’uomo 
(Sofocle, Antigone)



Di solito si dice che non devi mai iniziare un libro in questo modo: una mattina mi sono svegliato, ero stanco, ero scontento della mia vita, ero triste e depresso ...
Ma una mattina, in verità, mi sono svegliato, ero stanco, ero scontento della mia vita, ero triste e depresso ...
E sapevo il perché. Ero bloccato da qualche parte nel nulla, sepolto dall'impossibilità di trovare la storia giusta da scrivere.
Stavo scrivendo due libri a quel tempo. Uno riguardava un giovane idealista che prese parte al Risorgimento italiano. Mi ero ispirato a Ippolito Nievo e al suo ultimo giorno di vita. Volevo che questa storia fosse legata al suo ultimo viaggio da Palermo a Napoli. Tutto doveva succedere a bordo del piroscafo Ercole, prima del naufragio, dove morì. Avevo pensato di usare le tecniche del flashback e foreshadowing per ricordare tutta la storia del Nievo in Sicilia con i Mille, dal giorno in cui era sbarcato da una nave nel porto di Marsala con altre mille camicie rosse fino all'ultimo giorno della sua vita sull'Ercole. Volevo mostrare il fallimento di quegli ideali politici che lo portarono in Sicilia con Garibaldi. Volevo mostrare la disillusione per aver creduto in un paese che non c’era e che non ci sarebbe mai stato.
L'altro libro era un argomento diverso, e parlava di un artista marziale che viveva a Vilnius e trovava il suo amore in quella città e conosceva il professore Zecharia Najafi, un ibrido, discendente della stirpe rettiliana. A causa di questo secondo libro, ero finito in un nuovo campo che mi aveva costretto a letture estenuanti.
Non ricordo come ma un giorno mi sono imbattuto in David Icke, un teorico della razza rettiliana. Ho iniziato a leggere il suo libro The biggest Secret. Una specie di Bibbia sulla razza dei Rettiliani.
Troppe informazioni, dati, troppe cose. Era fuorviante. Leggerlo mi sfiniva e mi dava sofferenza. Non volevo soffrire La mia vita era già un insieme di sofferenze inattese.

Ho iniziato a pensare che Nievo aveva lo stesso tipo di sofferenza, la stessa che avevo io, che era impossibile da definire.
Come venire a capo della mia situazione? Avere visioni e pensieri che potrei confessare, dire a chiunque perché chiunque potesse capire il dolore che mi procuravano?
Posso solo dire che mi sentivo come senza paracadute. Come cadere senza protezione. Che tutta la mia vita era cambiata e io ero cambiato seguendo la mia vita.
Le cellule del mio corpo erano morte miliardi e miliardi di volte e miliardi e miliardi di volte erano rinate.
E tutto era passato, come davanti agli occhi di un uomo che sta per affogare. Tutta la sua vita in un solo momento.
Tranne un nucleo che chiamai Me. Che rimaneva comunque. Dentro. Lo percepivo immutabile. Permanente di fronte al divenire continuo.
Ma quanti miliardi di Me, ero stato prima questo ultimo Me rimasto come viatico, perenne, costante.
Chi ero, dunque?
Non trovavo una risposta. Non potevo trovare una risposta. Non c’era una risposta.
Avevo perso la mia identità. E questo è tutto.
Lo sapevo con certezza, ero un nuovo Me. Un nuovo Me rinato, strutturato da una nuova vita a Vilnius. Nuovi segnali, nuovi odori, nuovi gusti e sapori ... nuove informazioni provenienti da questo nuovo ambiente stavano modificando il mio comportamento, persino il mio portamento. Il mio Me. In che modo era diverso dal mio precedente Me?

E pensavo al Nievo. Pensavo avesse il mio stesso malcontento causato dall'ambiente. Un malcontento a causa del suo lavoro di intendente di finanza, a causa della Sicilia e dei siciliani; a causa degli ideali in cui aveva creduto si sentiva tradito dal nuovo Stato, che sembrava meno libero di molti altri statiesistenti prima dell'Unificazione.
Avevo perso due figlie. Erano come morte. Ma erano vive. Solo come.
Sara aveva smesso di parlarmi due anni fa. A poco a poco Cassia smetteva di parlarmi. Non mi scriveva più; non mi chiamava più. Forse Sarah aveva influenzato le sue decisioni.
Sto cercando il senso della vita, babbo. Ha detto, al telefono l'ultima volta che abbiamo parlato. Per quella frase pensavo di aver portato a termine la missione della mia vita. Amarla. Amala fino alla fine, per essere una creatura così meravigliosa che combatteva contro una cortina di fumo, impossibile da bucare.
Che tremendo atto di coraggio è cercare il significato della vita.
Ero triste, Pensavo di essere stato un buon padre. Le avevo amate con tutto il cuore. Eppure, non era stato abbastanza.
Ma quale era stata la mia colpa?
Che avevo cercato una nuova vita, in un altro paese, con una donna che amavo.
Era quella la mia colpa?
Doveva essere quella.

Per la prima volta nella mia vita, sono stato forzato dall'urgente necessità di scrivere una storia autobiografica completa. Avevo bisogno di scaricare tutta la mia sofferenza, di liberare il mio nuovo Me. Senza confinarlo in un sotterraneo.
Avevo spinto troppo lontano l'essenza della mia vita ed ero finito in storie senza cuore, senza passione. Senza il calore preso dalla vita reale. Senza la passione, che è necessaria per scrivere una storia.
Ho dovuto toccare una vita diversa dalla vita dipinta da Icke nei suoi libri, avevo bisogno della vita irreale della routine quotidiana. Avevo bisogno del calore e del flusso, avevo bisogno dell'ignoranza e della spensieratezza, dell'animalità e dell'addomesticamento dell'essere umano che può saziare il dolore che dà il messaggio, che vivi questa vita come ogni altro essere umano.
Ero stanco di essere sull'orlo di un altro mondo. Avevo bisogno di un mondo comune.
Mi sono venute in mente le parole di Foscolo “O mio Lorenzo! io non ho la pace che sperava dalla solitudine."

Quindi, dopo aver fatto ricerche relative a questioni legate alla parte rettiliana, R-complex, del nostro cervello, mi sono imbattuto nella teoria del dottor Paul MacLean e dalle sue teorie sono finito a leggere Before She Met Me di Julian Barnes. Quel libro mi ha momentaneamente rivitalizzato.
But when he met Ann— not that first moment at Repton Gardens, but later, after he’d conned himself into asking her out— he began to feel as if some long-broken line of communication to a self of twenty years ago had suddenly been restored.”
Leggendo quella frase mi resi conto che avevo bisogno di una nuova connessione, ma non con il mio vecchio Me-stesso, invece con il mio nuovo Me-stesso, dal quale ero disconnesso.
Vivevo in stand-by. Come un combattente del Muay Thai quando controlla l'avversario senza attaccare o difendere.

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