Tuesday 19 February 2019

In verità, non mi sono mai neppure posto il problema della felicità



Il testo è una parte di "Il giorno che l'Italia morì". L'intero testo è leggibile su Academia; https://www.academia.edu/42083218/Il_giorno_che_lItalia_mor%C3%AD

Io, nella mia vita la tranquillità non l’ho mai cercata. In verità, non mi sono mai neppure posto il problema della felicità” .
Era una frase di Craxi ma era una frase che Silvano avrebbe benissimo potuto usare per sé.

Silvano non fu mai felice, ma neppure mai si pose il problema se la felicità esistesse e che fosse.
Conosceva la rabbia, il rancore, la lotta, la resistenza, il lavoro duro, la bontà improvvisa, la compassione, la commozione, ma non la felicità. Felicità per lui era una parola come un’altra. Era un sentimento che aveva dimenticato troppo presto, insieme alla gioventù.
E così era per Sabatina.
Ma Sabatina tuttavia, assaporava momenti di felicità. Ed erano quei momenti in cui poteva parlare con qualcuno. A lei piaceva parlare. Poteva parlare per ore. Dimenticava i dolori, i mali, dimenticava le tristezze, la sofferenza. Parlare la esaltava, la faceva sentire viva.
Il dialogo che lei preferiva era il monologo. Avere la rara possibilità di parlare a qualcuno che per ore ascoltasse senza mai contraddirla era il massimo dei suoi piaceri su questa terra.
I suoi soggetti preferiti, soprattutto dopo i cinquanta anni, erano Ida, la guerra, Le Mura, Settefrati, i figli.
Verso i settanta anni avrebbe aggiunto lunghi monologhi riguardanti i viaggi.
Lei che non aveva mai viaggiato, a settanta anni scoprì come fosse bello viaggiare. Lo scoprì con un gruppo organizzato da Valerio, un privato cittadino di Capraia Fiorentina (il paese dirimpettaio, di là d‘Arno, di Montelupo: "Da Montelupo si vede Capraia, Dio fa le persone e Amor l‘appaia" recita un antico detto montelupino). Valerio aveva la passione di organizzare viaggi per gruppi di persone anziane, e, grazie a Valerio, Sabatina a settanta anni poté visitare San Marino, il Vaticano, la Francia, la Svizzera, la Germania, la Serbia, la Croazia.
Ma fu in virtù dello spirito dei tempi che Sabatina seppe adattarsi a una nuova vita. Fu in virtù di un nuovo spirito politico che Silvano visse una nuova meravigliosa vita politica, prima della definitiva caduta. Si dice che la caduta fu preparata dal montare di un’opinione pubblica sempre più indignata dalla corruzione dilagante dei partiti. Ma l’opinione in realtà si prepara, si costruisce, si manipola, si crea cavalcando o scavalcando lo spirito del tempo.

- Non bisogna essere marciatori della pace a senso unico…moralisti un tanto al chilo…massimalisti dei miei stivali…ma quali rivoluzionari d‘Egitto! …Craxi da giovane aveva questi modi di esprimersi che facevano colpo su di noi. Che hanno costituito un lessico, una sintassi, un modo di dire, un modo di essere, un modo di fare politica irripetibile. Era una sorta di predicatore laico, che ti costringeva a ragionare. Lui ti ascoltava…questa era la grandezza di Craxi. E aveva ragione quasi sempre. E poi non è più cambiato, perché la grandezza di Bettino Craxi era che lui era già Bettino Craxi quando non lo credevano ancora Bettino Craxi. Pensavano che fosse solo Benedetto. Invece no, era già il Bettino.
Ma lo sai com’ era la Milano socialista? La mia Milano, quella di noi socialisti sotto l’occhio del bettino? Te lo dico io com'era. Un giorno, passeggiando in via Manzoni, alzo gli occhi e vedo Giorgio Armani in calzini che trafficava nella sua vetrina; picchio sul vetro e lui mi fa segno di entrare; cos’è, fai anche il vetrinista adesso?; lui: “Se non hai cura tu delle tue cose, chi deve averla?”. Ecco, il segreto di quella Milano è lì. Quando arrivai a Palazzo Marino, dopo un po’ feci la giunta con il Pci: i miglioristi li sentivo vicini. Bettino lasciava fare. A volte aggrottava il sopracciglio, ma non parlava e io facevo finta di non capire se era a favore o contrario»

Le parole di Pillitteri gli risuonavano nelle orecchie. Quante volte Pillitteri gli aveva raccontato di Craxi, ogni volta che si erano incontrati a Milano. Sia lui che Pillitteri avevano in comune una devota ammirazione per Bettino.
Chi poteva fermare Bettino? Nessuno. Aveva l’ Italia in mano allora. Solo una forza superiore che aveva interesse a rimuoverlo insieme a una classe politica, corrotta sì, ma che con Craxi aveva trovato una politica estera e interna propria poteva fermarlo. Una forza che già allora si manifestava globale. Senza limiti e confini. Una forza sempre più dipendente da motivazioni altre che quelle inerenti a un sistema nazionalistico, e che fin da allora si scopriva interessata a una spinta sovranazionale e avvertiva stretti persino i limiti di questo pianeta.

Non poteva essere il contadino con le scarpe grosse e il cervello fino di Milano ad aver orchestrato quella spinta. Non poteva essere quel giudice moralista a stoppare Bettino.

- Silvano – gli aveva di nuovo detto il Pillitteri - Di Pietro io lo conoscevo bene. Andavo a casa sua. Poi tutto è cambiato improvvisamente. Cosa doveva fare? Tonino ha cavalcato la sua ora e alla fine ha distrutto una Repubblica. Bettino intanto continuava a non crederci e la spallata definitiva ce la diedero il Pci, i loro amici e i poteri forti».
- Quali poteri forti?
- Ma gli Agnelli, i De Benedetti, i Pirelli, quelli lì! Per salvarsi. Appena furono lambiti, fecero di tutto per sviare l’attenzione. E’ chiaro, no?

Certe posizioni di Bettino, ne era convinto Silvano, lo avevano messo inviso al PCI e lo avevano condannato ai loro occhi:

- L’obiettivo che dobbiamo proporci è quello di ridare autorevolezza e efficienza ai fondamentali poteri democratici.
- E’ necessario metter mano a una revisione costituzionale.
- Il potere legislativo che oggi è affidato a un sistema bicamerale dovrebbe vedere una diversa distribuzione del lavoro fra la camera e il senato.
- Una stabilità dell’esecutivo e anche un argine all'eccessiva politicizzazione della magistratura.

Nell’autunno 1980 Berlinguer infatti lo attaccò in modo aspro, dicendo che il PSI seguiva un piano ambizioso e anche insidioso di stabilizzazione moderata.

- Non poteva essere quella la causa. La causa era che Berlinguer aveva sparato tutte le sue cartucce. Non ne aveva più. Craxi aveva la visione, invece. Berlinguer era all'età della pietra. Questa era la realtà – gli disse Guida.

Ormai i loro caffè di Borgo dei Greci erano divenuti un rituale del pomeriggio. Quando Silvano cominciava ad accusare la pesantezza della giornata, telefonava a Guida, che abitava in piazza Donatello. Di lì a poco si incontravano davanti ad una tazza di caffè e iniziavano la loro analisi politica. 

- Io credo che il miglior complimento glielàabbia fatto Lech Wałęsa, quando gli disse, per ringraziarlo dell’aiuto concreto che Craxi aveva dato alla lotta in Polonia, a differenza del PCI che li aveva abbandonati “Proprio perché abbiamo incontrato uomini come Lei, che dicevano che bisognava fare così, che ci aiutavano…valeva la pena lottare perché ci sono uomini come Lei ancora nel mondo!” Questo ha fatto rodere il culo ai comunisti.

- Non solo – aggiunse Silvano – ma anche ai democristiani rodeva il culo. Craxi era stato capace di rompere la morsa consociativa DC – PCI.

Con Guida avrebbe voluto confessarsi, liberarsi di quel presentimento che era dentro di lui ma che sapeva bene non poteva esplicitare perché era un sentimento, una sensazione, che montava, senza direzione ancora. Ma non riusciva a parlargliene.

- Come va con Sabatina? – gli chiese Guida a bruciapelo.

Silvano lo guardò. Non si aspettava la domanda.

- Va. – rispose.
- Successo qualcosa?
- Mi sono innamorato Guida.
- Oh oh!...e di chi?
- Di una ragazza giovane. Troppo giovane.
- Ohi Silvano…un bel problema.
- Ho paura di sì.

Con gli avvenimenti in corso, Silvano cominciava a presagire che di lì a poco ci sarebbe stato uno tsunami nella politica. E per essere onesto si rendeva conto che difficilmente il partito sarebbe sopravvissuto a quello tsunami che veniva da Milano. Onde altissime che avrebbero travolto un’intero sistema politico erano ormai in previsione. Nulla ormai poteva più fermarle. Dovevano fare il loro corso e arrivare a destinazione. Fino al ’92 era stata un cavalcata. L’età dell’oro del partito. Con Craxi il PSI aveva acquistato levatura internazionale. Ma ora con tutti gli arresti che operava il pool di Milano era chiaro che si mirava in alto. A Craxi. Ma lui sembrava non accorgersene.
Perciò aveva cominciato a guardarsi intorno e aveva iniziato a fare l’agente assicurativo per una compagnia di assicurazioni. Già anni prima aveva fatto esperienza in quel settore, era riuscito a fare un buon lavoro con un’ altra compagnia di assicurazione. Aveva poi dovuto smettere a causa dei troppi impegni con il partito.
Dati i numerosi contatti, le tante conoscenze che aveva, era facilitato in questo tipo di attività. Pur facendolo part time era riuscito a mettere insieme un bel portafoglio di clienti, per cui aveva deciso di aprire un’ agenzia ad Empoli. Fare l’agente e non più il sub-agente.
Ovviamente, facendo due lavori non poteva stare sempre fisicamente in agenzia.
La sua idea fissa era sempre stata di trovare una ragazzina giovane da mettere in ufficio, contro naturalmente la rabbia di Sabatina che prevedeva quello che sarebbe successo.
E che successe.

Silvano aveva continuativamente dentro di sé avuto una smania, che non lo lasciava mai. Un male di vivere che lo consumava e gli dava vita allo stesso tempo. Non credeva in Dio, non si poneva il problema della felicità. Gli bastava essere socialista, galantuomo e combattere i comunisti che lui considerava il cancro dell‘Italia. Un partito fatto di delatori, di giustizialisti, di omertosi, di criminali in molti casi, a cui invano Berlinguer (che Silvano in fondo stimava una persona onesta) aveva cercato di dare un’ anima democratica.
Ma in quegli anni, gli anni di Tangentopoli, veniva di nuovo fuori la vera natura di quel partito fatta di giustizialismo camuffato da moralismo che avrebbe portato a un’instabilità e a un disfattismo che già nel ‘43 aveva provocato la morte del paese.

E quel clima non giovava a Silvano. Acuiva i suoi dissesti interiori e li amplificava.
Una giovane ragazza, la bellezza dell’ asino che caratterizza tutti i giovani, il bisogno di novità che rompesse il cerchio di smarrimento che avvolgeva le singole vite degli italiani, furono sentimenti che trovarono coesione nel corpo di una ragazzina di venti anni. Come soluzione (effimera) a tutti i mali che affliggevano, in quello sconvolgimento definitivo, la vita del paese e quella personale di Silvano.
Il 1943 era stata la morte dell’Italia ma per Silvano era stato l’inizio della sua vita, della miglior parte della sua vita. Il 1992 fu indubbiamente l’anno che segnò la fine del PSI e la fine della vita politica di Silvano e la deriva, in generale, di quella che era stata la migliore età di Silvano. Nonostante i suoi 68 anni Silvano tuttavia era ancora giovane, attivo, pieno di vita e di energia. Ne aveva 68 ma ne dimostrava 55.

Veronica, così si chiamava la ragazzina, aveva perso il padre in giovanissima età. Forse fu un fattore determinante. Forse, rivide in Silvano quella sicurezza che aveva sempre cercato in un padre mai avuto.
Fu così che Silvano si trovò apertamente vulnerabile e senza difese da opporre.
La ragazza era modesta. Neppure godeva di una particolare bellezza. Vestiva in modo semplice. Ma era vigorosa, sicura di sé, aveva gli occhi furbi e sopratutto una parlantina che incantava i clienti. Imparò presto il lavoro. E velocemente prese in mano la direzione dell’agenzia.
Per quello Silvano le aveva concesso sempre più responsabilità, perché preferiva dedicarsi al lavoro esterno, a contattare i clienti. Non gli piaceva stare in ufficio e poi ancora continuava a lavorare al partito, a Firenze. Ma per quanto ancora? Era evidente che i socialisti erano ormai una razza in via di estinzione.

Veronica non era di Empoli ma di un piccolo paese vicino ad Empoli. Proveniva da una famiglia contadina, una delle tante che Silvano aveva conosciuto negli anni della politica, una delle tante a cui aveva fatto ricevere mutui e fidi bancari attraverso la Coldiretti. Una delle tante famiglie che aveva beneficato ma una delle poche che gli avevano manifestato riconoscenza nel perdurare degli anni.
Veronica non aveva speciali interessi nella vita eccetto che mangiare bene, stare in famiglia e guadagnare i soldi.
Rispetto a Silvano che aveva trascorso tutta la sua vita facendo politica Veronica non manifestava nessun interesse per quella attività del genere umano.
Ne era completamente esente.
Per lei socialisti, comunisti e democristiani erano poco più che un suono della lingua italiana. Null'altro che flatus vocis, come si potrebbe dire con una terminologia della logica medievale.

Silvano nella sua estraneità riguardo a quel corpicino giovane, Veronica era infatti di bassa statura ed esile, si trovò d’improvviso - e sorpreso – a pensare che quella sarebbe stata la sua nuova donna.
Ma quel pensiero un po’ lo fece rabbrividire; per cui pensò più adeguatamente che sarebbe stata la sua nuova relazione.
Ma l‘idea di nuovo lo fece rabbrividire.
Era più giovane dei suoi figli.

E tuttavia, una volta che sedevano sul divano dell‘ ufficio esaminando delle polizze di assicurazione, non riuscì a sottrarsi al suo odore. All'odore di un corpo che non era quello delle donne che finora aveva avuto. Aveva un odore aspro, immaturo e però irresistibile.
Erano così vicini da toccarsi. E si toccarono.
Come colto da raptus Silvano le sfiorò i capelli e lei posò la sua testa su quella di Silvano.


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