Friday 1 February 2019

Convergenze parallele




Silvano pianse. Negli ultimi anni all’ira alternava spesso la commozione. Era divenuto simile a suo padre Giuseppe, che per un nonnulla si commoveva e piangeva.
Pianse a vedere come l’ex autista di Berlinguer, Alberto Menichelli, si bloccava nel racconto. Aveva la voce emozionata, un groppo alla gola, e non riusciva ad andare avanti con il racconto degli ultimi momenti della vita di Berlinguer.
Berlinguer era sempre stato un avversario politico, non lo aveva mai considerato come persona. Lo aveva incrociato un paio di volte, ma non aveva mai avuto l’opportunità di parlarci. L’ultima volta lo aveva visto da lontano al XLIII congresso socialista a Verona, sonoramente fischiato al suo ingresso come ospite. Anche Silvano allora lo aveva fischiato. Ma ora in quel filmato che la RAI ritrasmetteva aveva visto anche l’uomo e non solo il politico. E si era commosso. Aveva visto un Berlinguer che non conosceva. Molta parte della vita privata del segretario del PCI, gli ricordava la sua. Un po’ si era identificato nel racconto dell’uomo Berlinguer che Giovanni Minoli, il giornalista RAI, aveva narrato nel servizio di La Storia Siamo Noi.

- Anche io ho lasciato troppo sola la mia famiglia. Soprattutto con Loris non ho mai avuto un dialogo. Poco anche con Fabrizio, ma almeno con lui un po’ ce l’ho avuto… - si trovò a mormorare da solo.
- Che fai, parli da solo? – gli chiese Sabatina che sedeva sulla poltrona davanti al televisore come sempre, e che puntualmente si risvegliava dal suo torpore come avesse delle antenne adatte a captare ogni minimo cambiamento di sintonia che avvenisse in quella stanza.

Silvano non rispose.
Pensava a Loris, ai tanti scontri avuti con lui, e molti per colpa sua, a causa di quell’innato autoritarismo stalinista che lo dominava in quegli anni di vita politica, che aveva magari costituito la sua fortuna in politica ma il suo disastro in famiglia.
Con Loris avevano lavorato insieme. O almeno ci avevano provato. Ma Loris aveva un‘altra visione del mondo, diversa completamente dalla sua, per cui aveva preferito cercare altre strade.
Loris gli incuteva soggezione se doveva essere sincero. Con lui non si era mai sentito libero di fare e dire quello che pensava, forse perché era stato l‘unico capace di contrastarlo in famiglia.
Ma ora anche Loris gli si era avvicinato. Si dimostrava diverso, affettuoso. Era sempre disponibile ad aiutarlo. Era cambiato. Non era più il figlio ostile di una volta.

La questione morale…Berlinguer si era messo a parlare di questione morale quando si era reso conto conto che ormai aveva perso tutte le battaglie. Soprattutto quella sul compromesso storico a causa della morte di Moro. Aveva imboccato una strada senza via d‘uscita. Ma in una cosa era stato bravo, e Silvano glielo riconosceva: aveva fatto credere che solo i comunisti, solo loro, fossero puliti, quasi che loro non avessero mai preso i soldi da Mosca. La diversità comunista, come veniva chiamato questo loro proporsi come immuni da ogni corruzione e amoralità, li aveva condotti all‘isolamento. Soprattutto aveva allontanato ogni possibilità di dialogo con il PSI di Craxi.
Craxi era il nuovo allora, Craxi aveva una visione nuova della politica. Berlinguer era il passato. Era al tramonto. E difatti di lì a poco morì. E forse quella morte prematura ne salvò il mito che stava andando incontro alla distruzione di se stesso.
Eppure in quel filmato di Minoli c’erano tanti momenti toccanti. Come quando Menichelli raccontava che una mattina Berlinguer voleva fare un passeggiata e allora erano andati al piazzale del Ministero degli esteri. Menichelli aveva tirato fuori il pallone che teneva sempre in macchina, perché Berlinguer era un fissato del calcio. Il segretario del PCI si era tolto la giacca, la cravatta, arrotolato i pantaloni e aveva preso a giocare con dei ragazzini che erano lì. In quel mentre era passato Moro in macchina. Moro aveva fatto fermare la macchina e si era messo a vedere la scena con il sorriso sulle labbra con un' aria da "non c' è più religione" in faccia"… Era un‘ immagine di come Silvano avrebbe voluto essere ma mai lo era stato. Aveva preso la politica troppo sul serio, quello era stato il suo errore.

“Questo paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non sorgerà un nuovo senso del dovere”.
Questa frase di Moro è una frase che trascende il tempo in cui è stata pronunciata (1976). Una frase che se non fosse stata pronunciata da Moro avrebbe potuto avere anche un suono rivoluzionario, soprattutto in anni in cui il senso del dovere fu travolto dalla contestazione.
Moro fu comunque un rivoluzionario lento in seno a un partito di cui la lentezza e la inamovibilità furono le costanti in ogni decisione. Un rivoluzionario controcorrente in seno ad un mondo che andava in senso contrario alla visione di Moro.
Un rivoluzionario come Mattei, o più tardi Craxi, che cercarono di fare una politica sovrana per uno stato che non era sovrano. Con il compromesso storico cercò di sottrarre la politica interna ed estera ai centri di poteri che eterodirigevano l’Italia. E pagò con la vita, come ancher Berlinguer, probabilmente, pagò con la vita e non è detto che siano sempre stati gli americani o gli inglesi ad agire dietro le quinte. E probabilmente non furono loro a far fuori Berlinguer, se veramente fu fatto fuori, come qualcuno sostiene.
Era dunque vero quello che Moro aveva detto in un’intervista alla RAI (novembre 1977) e mai andata in onda: “Io sono odiato negli Stati Uniti e in gran parte della Germania, Enrico Berlinguer è odiato in Unione Sovietica”.

Silvano negli anni in cui Moro portava avanti la politica delle convergenze parallele era, al pari di Craxi, contrario al tentativo di portare il PCI al governo, o quanto meno di allineamento al governo.
E quando Moro fu fatto fuori, credé, come quasi tutti gli italiani (salvo pochissimi, che sapevano la verità ma tacquero) che a rapire e uccidere Moro fossero state le Brigate Rosse.
E quando Berlinguer morì non ebbe motivo per dubitare che Berlinguer fosse morto per un ictus.
Aldo Moro rimise al centro della sua filosofia politica, che qualcuno aveva definito l’arte di parlare senza dire nulla, la persona. Perché la persona viene prima del cittadino. Ogni diritto del cittadino è connesso alla persona, è in riferimento alla persona.
Moro era così, ciò che predicava in politica lo applicava in famiglia. Taciturno, dolce e riservato a tal punto che la figlia non ricordava di aver mai sentito da lui una parola sulla madre e il fratello morti quando era giovane. Non le sembrava di aver mai sentito parlare di un compagno di giochi, di un episodio di scuola, di una frase detta riguardo al padre…Sembrava uno venuto dal nulla, uno che a un certo momento avesse scelto di vivere senza passato.

- Ci sono sicuramente anni duri davanti. 

Silvano pronunciò queste parole a Firenze davanti a una tazza di caffè in un bar di Borgo dei Greci. Di fronte a lui sedeva Guida, un compagno del partito. Era di Palermo ma ormai trapiantato a Firenze da molti anni. Ultimamente si incontrava spesso con Guida. Guida sapeva ascoltare. Lo consigliava bene.
Era alla fine nata un’amicizia in quel mondo della politica, dove conoscersi era facile ma essere amici difficile.
La fissazione di Silvano, ogni volta che incontrava qualcuno di siuo gradimento, era di invitarlo a pranzo, e questo metteva in allarme Sabatina, che non amava ospiti e soprattutto cucinare per ospiti.
E dunque ogni volta erano litigi in cui alla fine vinceva sempre Silvano. Sabatina da ultimo non sapeva mai imporsi. Non era che non amasse la compagnia, perché Sabatina era una apersona ciarliera, che amava la compagnia. L‘idea, il pensiero di dover cucinare per qualcuno che non fosse uno di famiglia la mandava in crisi.
Ma dopo il primo incontro con Guida, anche Sabatina cambiò subito opinione. La gentilezza, l’affabilità, il calore umano di quel gentleman siciliano le arrivò diritto.
Fu lei anzi che spesso chiedeva Silvano di invitare Guida a pranzo.
Per una (rara) volta si trovarono d’accordo.

- Su una cosa Moro ha ragione – rispose Guida – questa è una democrazia incompiuta. E bisogna uscire da questo stato di cose. Bisogna trovare il modo di superare questa crisi. Moro vuole però portare i comunisti al governo per fare questo. Ovviamente per noi questo non va bene.
- Moro parla di interrogativi angosciosi.
- Beh credo che, conoscendo il modo di pensare di Moro, “angoscioso” sia l’aggettivo che calza a pennello al lo stato d’animo con cui vive questo passaggio.
- Sai, io e Moro abbiamo una cosa in comune.
- Quale?
- Il 4 agosto dell’anno scorso abbiamo preso lo stesso treno. E entrambi siamo scesi prima che le bombe esplodessero.
- L’Italicus? Eri sull’Italicus?
- Sì. Lui so che fu fatto scendere prima che partisse da Roma, con una scusa…che aveva importanti documenti da firmare. Io lo presi solo per arrivare a Firenze. Le bombe esplosero più tardi a San Benedetto Val di Sambro.

- Siete due miracolati. 
- Io forse sì. Lui no. Lui, qualcuno che sapeva gli ha risparmiato la vita quel giorno…
- Credo proprio di sì. Forse Rumor lo salvò…
- Forse. Chi può dirlo.

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