Tuesday 13 February 2018

"Isole di felicità - Laimės salos" - Il regalo



Foto di Živilė Abrutytė  (instagram)



Il testo fa parte del libro pubblicato da Edizioni La Rondine, Isole di Felicità - Laimės salos: https://www.ibs.it/isole-di-felicita-laimes-salos-libro-fabrizio-ulivieri/e/9788832268317

Les sentiments profonds signifient toujours plus qu'ils n'ont conscience de le dire[1]
(Albert Camus)


Liberarsi del passato non è facile.
I pensieri sulla felicità per Diego erano una conquista. Per Rūta un prendere posizione nel mondo. Rūta lo faceva sottraendosi a tutto e rinchiudendosi in una sfera ristretta rispetto all’universo più vasto in cui viveva. Si sapeva posizionare bene.
Diego invece lottava tra lo stare in un universo e passare in un altro e forse ritornare a quello di prima.
Cercava di eliminare i pensieri sul mantenere in vita in qualche modo i genitori e al tempo stesso li fortificava.
E quando gli parve di averli eliminati finalmente, di prepotenza loro si fecero di nuovo avanti come non volessero interrompere quel legame che li aveva uniti in vita.

- E’ un regalo di papà e mamma per il tuo compleanno

Diego non se l’aspettava.
Fu come un pugno in faccia, che impreparato ti prende in pieno volto svoltando l' angolo.
Credeva di aver staccato la spina e invece loro l’avevano riattaccata.
Quando i soldi cominciavano a diminuire e Diego si sentiva perso il fratello da Parma gli comunicò che aveva trovato un conto in banca del padre di cui nulla sapeva.
Gli inviò il cinquanta per cento come sempre.

Quelle parole che il fratello aveva scritto su whatsapp riattaccarono la spina.
Non la toglierò più non posso e non voglio. Mormorò fra sé, Diego.

Quando lo disse a Rūta, lei gli rispose:

- No, non puoi. Non vogliono lasciarti. Hanno ancora bisogno di te. Ho sbagliato io a consigliarti. Perdonami

Diego pianse davanti a lei. Piangeva e singhiozzava senza controllo.
Rūta lo abbracciò delicatamente e mise la sua faccia sui seni caldi per calmarlo.

- E’ il tuo compleanno oggi, volevo fare qualcosa a casa ma credo sarà meglio uscire fuori. Hai bisogno di uscire Diego. Andiamo da Jurgis ir Drakonas, in Pylimo gatvė. Mangeremo una pizza. Portiamo anche le principesse

Diego Sollevò la testa. Provò a smettere di piangere. Si asciugò gli occhi.

- Mi sembra ci siamo già stati un sabato pomeriggio
- Sì. Dopo poco che ci siamo conosciuti
- Mi ricordo che era carino
- Sì

Ma fu un po’ una delusione per entrambi. Evidentemente nel tempo la qualità si era abbassata.

Il servizio fu lento. Sbagliarono pure l’ordinazione. Rūta aveva chiesto una pizza al prosciutto e gliela portarono al pomodoro. Le pizze erano gommose e difficoltose a tagliare. Quella di Rebeka, con Ricotta, era veramente cattiva.
Per il dessert le principesse voleva il gelato, vaniglia e cioccolata ma la vaniglia era finita e dovettero accontentarsi di lamponi e cioccolata.
Quando la porta si apriva entrava un gelo che faceva rabbrividire.
Diego da parte sua era infastidito dal tavolo accanto, dove vi erano due americane che sempre ridevano insieme a due lituani che parlavano in inglese, ma un inglese artificiale, non vero. Spesso in Vilnius sentiva parlare quell’inglese surrettizio, che non capiva perché, ma lo infastidiva.
Forse avrebbe voluto che in Lituania tutti parlassero solo lituano.
Era una posizione infantile, la sua. Assurda e insostenibile.

Per le principesse però non esistevano tutti i problemi che invece infastidivano Rūta e Diego.
Da un apposito angolo giochi per bambini raccolsero delle matite e si misero a disegnare su carta.
Bevvero le coca che avevano ordinate in un attimo, in modo animalesco.
Erano felici. Risero tutta la sera. Felici di avere avuto un fine settimana diverso dalla noia di stare sempre sole in casa.

- Avremo un fine settimana interessante – aveva detto Goda a cena il venerdì – Sabato è il compleanno di Diego. Domenica pomeriggio al cinema e poi a Abrakademia per la preparazione della mostra fotografica. Avremo tante cose da fare mamyte

Con l’arrivo di Diego la vita nella casa era cambiata. Si vedeva da come si comportavano le principesse. Erano meno nervose. Facevano arrabbiare meno Rūta. E finalmente uscivano con Rūta e Diego.
Rebeka era divenuta quasi ossessiva. Temeva che ricominciasse per loro la solitudine di stare sole a casa come quando Diego non c’era.

- Uscite? Ci lascerete sole? – era la prima domanda che Rebeka faceva alla madre appena si svegliava

Uscire di sera per andare a cena fuori per loro era un evento quasi mai accaduto.

- Quando è stata l’ultima volta che Rebeka e Goda sono andate in un ristorante?
- Non lo so. Non me lo ricordo…ma dev’essere stato molto tempo fa – rispose Rūta con un sorriso fra l’ironia e la vergogna

Diego la guardò e disse in modo dolce:

- Rūta….
- Amore…

La sera a casa quando Rūta era in bagno e si preparava per la notte, Diego aprì la porta e senza entrare si mise a guardarla.

- Perché mi guardi? – chiese Rūta
- Sei bella

Rūta sorrise.

- Non mi sento Particolarmente bella. Solo ho cura di me stessa

E’ vero – pensò Diego. La sua bellezza era qualcosa che Rūta costruiva giorno dopo giorno. Con tanta cura per se stessa: dai capelli, al trucco degli occhi e della faccia.
Aveva due estetiste: una per le sopracciglia e una per le unghie delle mani e dei piedi.
La scelta dei vestiti, dettata dai pochi soldi, era rigida, severa e molto selettiva. Pochi colori erano ammessi nel suo guardaroba. E il taglio dei vestiti rispondeva alla linea che si era imposta.
La sera con meticolosità si struccava. Si dava la crema da notte. Si metteva la camicia da notte con la stessa attenzione come avrebbe messo un vestito per uscire.
La mattina faceva la doccia, si lavava ogni mattina i capelli. Faceva la maschera ai capelli. Poi si annodava un asciugamano in testa e dopo trenta minuti li risciacquava.
Si truccava con pazienza e attenzione ai particolari.
Poi dedicava gli ultimi dieci minuti, prima di vestirsi per e andare al lavoro, ad asciugarli, per non uscire al freddo con i capelli bagnati.

Diego pensò che la stessa cura infinita che Rūta metteva nel mantenere la sua bellezza era la stessa cura metodica con cui costruiva la sua isola di felicità. Né più né meno.
Rūta aveva un metodo e applicava quel metodo a ogni situazione di vita.
Se la vita deve avere un senso per essere interamente vissuta Rūta al contrario la viveva così fortemente perché non mancasse di senso.
La sua era una fatica pari a quella di Sisifo: solo nello svolgimento completo della sua pena poteva Sisifo essere Sisifo.
Così Rūta era Rūta se lo era fino in fondo, al pari di Sisifo.
Sisifo non era un condannato alla sofferenza, Sisifo era tale solo se riusciva a essere tale.
Diego non poteva dire che Rūta fosse felice a soffrire ma certamente la sua felicità talora sconfinava in una imposizione che collideva con la condanna.


Quella notte Diego Sognò Rūta.
Era a casa sua a Parma. Era estate. Un giugno di quelli che esplode in tutta la sua bellezza di colore azzurro e cielo senza nubi, e già la mattina alle sei cominci a sudare.
Rūta era alla finestra della camera da letto che dava sul giardino di casa. La finestra era completamente spalancata. Rūta vestiva al suo modo, abiti scuri e severi. Dava le spalle a Diego che osservava, come la sera prima, dalla porta. Oltre Rūta si stagliava un cielo impeccabilmente celeste e privo di cirri. Gli alberi del giardino in controluce apparivano di un verde cupo.
Rūta si truccava alla finestra.
Ma ora si muoveva leggera, in modo lieve. Nei gesti Diego non leggeva più alcun segno di condanna.

Appariva libera.

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[1] I sentimenti profondi significano sempre di più di quello di cui abbiamo coscienza per dire

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