Thursday 21 December 2017

Succhi gastrici e effetti collaterali (Microstorie e microriflessioni in tempi di crisi) - La santità della disperazione




“No se muera vuestra merced, señor mío, sino tome mi consejo y viva muchos años, porque la mayor locura que puede hacer un hombre en esta vida es dejarse morir, sin más ni más, sin que nadie le mate” (Don Quijote)

La disperazione è una sirena. La sua voce incanta e attira il naufrago verso il suo letto di onde cullanti.
“Aujourd’hui maman est morte. Ou peut-être hier, je ne sais pas” (A: Camus L’étranger). 

Parole terribili di una solitudine disperante su questa terra. Le più terribili che siano mai state scritte. Un grido che nessuno sente. La visualizzazione immediata di uno stato assurdo. E-straniamento senza via di uscita. Eppure una beatitudine entro cui abbandonarsi quasi felice di quell’e-straniamento. Di una consapevole distanza dal mondo che ti esclude per sempre, che intacca, crudele, ogni tuo progetto di vita.
La disperazione è in fondo santità del proprio stato di abbandono.

«Sono finito in questo letto di onde che mi cullano. Potrei affogarvi e tuttavia galleggio e non muoio. Le correnti mi cullano e mi amano.»

Il disperato non è mai solo. È sempre in presenza di sé: del suo stato di assurdità, di melanconia, di una morte continua che mai uccide definitivamente.

Il disperato è un Santo perché perennemente crocifisso a quello stato di beatitudine.

Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo



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