Thursday 14 September 2017

Cecilia - Storia di una spia aliena a Firenze

                                                                      



I soldati, pertanto, non hanno una posizione fissa
L’acqua non ha una forma costante,
ed è un miracolo essere in grado di ottenere la vittoria
in risposta ai cambiamenti del nemico
(Sun Tzu)




Ancora un altro chilometro!
Correva sul lungarno Vespucci.
Era smesso di piovere da poco. Si era rifugiata per una decina di minuti dentro un portone dalle parti dell’Ambasciata Americana evitando di rimanere inzuppata.
Ora il cielo si era aperto e si era sollevata l’afa. Era pur sempre luglio anche se quell’anno le era stato detto che il vero caldo non era mai venuto. Un’estate fresca la chiamavano.

- Ancora un altro chilometro e poi ho finito!

Ansimava. Da quando era a Firenze soffriva di stanchezza cronica. Ne incolpava l’alimentazione. Non un giorno senza pasta e vino, lei che a Detroit mangiava sempre insalate frutta e yogurt e quasi mai beveva vino.

Ora correva sul lungarno Corsini. Stava passando davanti a Palazzo Corsini ed era ormai in vista di Ponte Santa Trinità. Avrebbe svoltato a destra e attraversato il ponte, puntato verso via Santo Spirito, l’avrebbe percorsa tutta fino al ristorante Il Santo Bevitore, poi avrebbe preso a sinistra per via de’ Serragli, ancora cinquanta metri e avrebbe curvato a destra in direzione di via Santa Monaca, il luogo che da due mesi aveva eletto come centro delle sue uscite.

Tutte le mattine era quella sofferenza. Non le era concesso diversamente. La notte e poi la mattina. La mattina era per eliminare le scorie. Correva come forma di autorigenerazione. Correndo ricaricava energia ed eliminava le scorie accumulate da una diversa alimentazione e modo di vivere a cui riteneva di non essersi completamente adeguata.

Eliminava le scorie. Puliva la mente.

Chi avrebbe potuto sospettare di lei?

Nessuno.

Aveva l’aria da perfetta ragazza americana per bene, next door girl, ma non era come gli altri. Gli altri li evitava. Preferiva non incontrarli anche se sapeva dove trovarli.
Stanotte sarebbe stata un’altra notte. E domani un’altra mattina.
Il giorno non faceva nulla. Si preparava alla notte e pensava. Mangiava. Dormiva. O forse dormiva mangiava e pensava. Ed era il momento peggiore. Era quando i dubbi l’assalivano.

Vivere a Firenze era diverso da Detroit. Detroit era una città lunare. Il suo fascino le derivava dall’abbandono e dalla fatiscenza, dai suoi impianti industriali spettrali e mostruosi. Firenze era la Bellezza e l’Arte, la città dalle volumetrie e dalle forme simmetriche, la città dell’estetismo rinascimentale per eccellenza.

Non era abituata a percorrere tutte le distanze a piedi. Poteva sembrare ridicolo ma era così. Poteva sembrare ridicolo perché lei era un’atleta ed ogni giorno correva almeno un’ora, faceva boxing da anni ed era arrivata a livello professionistico e giocava al calcio fin dall’epoca del college. Eppure non vi era abituata. A Detroit era sempre in macchina. Usciva di macchina ed entrava in un mall, usciva da un mall ed entrava in macchina, era a casa o all’università o dentro uno Starbucks a studiare. Non sentiva la vita a Detroit. A Detroit si viveva incapsulati.

Qui la gente viveva per strada. Si camminava a piedi per raggiungere qualsiasi punto della città. Nel centro non c’erano macchine. Se stavi in casa con le finestre aperte sentivi i vicini parlare dall’appartamento accanto, alla notte percepivi i passi dei pedoni sul lastricato e le urla di giovani che avevano bevuto…qui la vita si muoveva nell’aria e nel sole che ti baciava la pelle…

Da quando le avevano chiesto di trasferirsi a Firenze la sua vita aveva cominciato a cambiare.
Non sapeva come, ma stava cambiando. Era felice e piú rilassata allo stesso tempo, inquieta però. Aveva un compito da svolgere qui. Era qualcosa di nuovo e non sapeva come. Studiava gli esseri di questa città. Li osservava. Li analizzava e li scannerizzava. Ne rubava i dati e li memorizzava. Aveva una capacità di memorizzazione eccezionale. Fuori dal comune. Il suo IQ era uno dei piú elevati della razza a cui apparteneva.
Poteva leggere la digitazione di un PIN da lontano ed alla rovescia. Le bastava puntare con gli occhi qualsiasi documento e subito poteva visualizzarlo in modo da ricordarlo.
A Firenze vivevano in apparenza gli stessi esseri che popolavano Detroit ma erano diversi. I sapori erano diversi. La lingua. Il modo di parlare. Gli odori per la strada. Ogni città ha i suoi odori, quasi avesse una vita a prescindere da chi la popola e l’abita. Qui parlavano soprattutto con le mani e con il corpo.

La colazione era diversa. Si faceva il pranzo e la cena. Si abbinavano vini a cibi come avesse un senso religioso abbinare il vino giusto al cibo giusto per combinare insieme due energie opposte che si annullavano nella perfezione.

Dopo anni trascorsi a Detroit stare qui era pari ad essere caduta su un altro pianeta. Era un altro pianeta, infatti. Un altro mondo, diverso da quello da cui proveniva.

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