Tuesday 19 September 2017

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno (quattordicesima puntata)

Foto Živile Abrutytė

Le ragioni dell’amore e dell’essere


L’avevo mai idealizzata Austėja?
Idealizzare suppone un non vedere (o non voler vedere) attraverso una persona, e comunque anche vedendo sorgono un paio di problematiche

1) È ciò che vedo ciò che realmente vedo o è il mio occhio che proietta sul sistema che vedo il mio sistema?
2) Se anche ammettessi che ciò che vedo è realmente quello che vedo a che porterebbe? Viene sempre un momento che si deve scegliere e fare un salto. O A o B. Un terzo non si dà

Secondo la fisica quantistica poi le due cose non si escludono ma rimangono collegate. Nel primo caso è certamente l’occhio dell’osservatore che causa (collassa) l’osservato. Nel secondo caso A e B potrebbero rimanere in collegamento (entangled) e continuare a influenzarsi a distanza.
Se l’avevo idealizzata il motivo poteva essere uno solo: per sfuggire il cinismo che mi teneva prigioniero. Quel cinismo per cui vedevo il mondo come lo vedevo: un mondo di animali, di maschere di carne, carne senza spirito, esseri umani come risultati di programmi quantici che costituivano l’andamento del mondo…non un Dio, non una religione che sono credenze devianti, o come li definisce Richard Dawkins “parassiti della mente”.
Se dunque l’avevo idealizzata in che consisteva quella idealizzazione?
Non avevo dubbi: in lei vedevo la pace. In lei cercavo la pace che non trovavo in nessun luogo. Quel confronto a Belgai, in Rūdninkų gatvė, mi aveva fatto capire che se pace vi era, stava sopra un fuoco che covava, un fuoco in perenne ebollizione, un magma sempre attivo.
Eppure quel magma stava sotto e sopra si vedeva solo la pacifica cupola di un vulcano inattivo.

- Ar galiu paprašyti vienos paslaugos?
- Sì, certo
- Ma come si dice in italiano?
- Che cosa?
- La mia domanda
- “Posso chiederti un favore?”
- Bene..posso chiederti un favore?
- Dimmi
- Potrai avere sempre pazienza con me e sopportarmi nelle mie lune?
- Ci proverò – risposi

Ci si innamora senza nemmeno conoscere perché ci si è innamorati. E questo è sempre effetto del desiderio di chi vuole innamorarsi. Eppure un’interazione deve pur esserci fra il soggetto intenzionato a innamorarsi e l’oggetto disposto all’innamoramento.
Il sistema in cui oggetto e soggetto si muovono in relazione potrebbe chiamarsi “seduzione”.
Io credo che la seduzione sia quello spazio in cui due persone vengono a contatto e possono in un certo senso predire i loro movimenti: capire che alla mossa A ne corrisponderà in correlazione B, o a C corrisponderà D. La predizione costituisce così l’ambito della seduzione. Sì è sedotti perché nascono correlazioni di comportamento per cui l’uno non sarà più in grado di concepire (predire) i suoi sentimenti senza l’altro.

Inizialmente la predizione era orientata da alcuni punti di partenza:

io) Desiderio di pace in me
Austėja) Voglia di pace in lei
io) Desiderio di comunicare il mio desiderio in quella lingua
Austėja) Voglia di imparare una lingua (italiano) in lei
io) Desiderio di fuggire da un amore che mi aveva rovinato la vita
Austėja) Voglia di rompere una relazione con un marito inadatto al suo stile di vita
io) Salvarmi dal cinismo che mi rendeva la vita senza gusto
Austėja) Voglia innata di offrirsi, offrire e soffrire
io) Bisogno di una via di uscita
Austėja) Bisogno di una via di uscita

Questa riflessione sull’entanglement (come si direbbe in fisica quantistica) fu generato da una frase che Austėja mi recitò in lituano in quel confronto a Belgai: kartais nepasitikėjimą kitu skatina nepasitikėjimas pačiu savimi (a volte la sfiducia nell’altro genera la sfiducia in se stessi).
Mi fece capire come ci fosse sempre una correlazione fra due che si seducono o si separano. Mi fece capire che nella base dell’uno già ci deve essere possibilità di correlazione per l’altro.
Credo che nessuna di queste riflessioni sarebbe venuta fuori se a Vilnius non avessi passato i miei pomeriggi a leggere in una libreria di Gedimino prospektas, alle cui finestre stava una frase che esprimeva bene l’essenza di quella libreria

Meilė knygoms ir kavai[1]

In effetti riflettevo sull’amore fra me e Austėja leggendo libri e bevendo caffè.
Mi resi conto che in Italia la mia produttività era dimezzata rispetto alla Lituania. L’amore per Austėja mi aveva trasformato in un instancabile cacciatore di ragioni su perché un amore divenga tale. E in quella caccia che avveniva in un territorio ignoto e straniero, Gedimino prospektas, sembrava che la mia capacità di individuare la preda fosse aumentata per non dire triplicata.
Avevo imparato un’arte sconosciuta: saper amministrare e dosare più attentamente i miei pensieri.
Nell’atmosfera natalizia che illuminava Gedimino prospektas anche i miei pensieri si illuminavano. Il mio cinismo anche si decolorava.
Non ero più chi ero stato ma qualcun altro con il mio nome che stava fuggendo da se stesso oltre che dalla sua terra e che forse un giorno avrebbe definitivamente ucciso quel se stesso da cui fuggiva.

Quanti sé possono esserci in un sé?

In me ne avevo ora individuati almeno due. In Austėja una miriade, almeno la miriade che era pari allo spezzettamento a cui riduceva i suoi sentimenti. 
I suoi baci erano dolci e avvolgenti come la sua lingua e le labbra calde. Erano un modo per entrare in contatto con il calore della febbre che alimentava l’instancabile lavorio di sensazioni che si componevano e decomponevano, coerivano e decoerivano in lei.
Un contatto diretto e profondo, in cui percepivi il sapore del suo essere.
Quel sé inafferrabile e indisponente fino ad un attimo prima lo afferravi ora, nei baci, come docile e ubbidiente.
Eravamo sul filobus numero Sette, di ritorno dal Belgai. Lo avevamo preso alla stotelė, fermata, vicino alla stazione. Il filobus era gelido e quasi privo di passeggeri.
Forse spinta dal freddo e dai piedi infreddoliti per la neve che copriva le strade ed i marciapiedi si avvicinò a me e mi strinse le braccia al collo baciandomi.
Quell’essere (sé) che fino a pochi attimi prima aveva abitato un’area privata e a me estranea decise di aprirsi in quel bacio.
Sentii la sproporzione fra quell’essere muto che aveva abitato nel confronto al ristorante e quello che mi invece si apriva ora, la diseguaglianza fra l’essere che avevo percepito nella distanza e l’essere che percepivo nella vicinanza del contatto fisico. Assumeva la forma di un punto di unione che pareva invitarci alla conciliazione, alla comprensione e alla reciprocità (correlazione).

- Palauk (aspetta)! – mormorò Austėja – quell’uomo ci guarda. Non mi piace essere guardata mentre ti bacio

Ma nonostante Austėja interrompesse il bacio e si distanziasse di poco, quel sé nato dal bacio non se ne andava. Permaneva, stabile.
Aveva aumentato il desiderio per i nostri corpi che sfociava ora in una sospensione apparente che ci faceva sentire l’inconciliabile contrasto di due corpi e di due menti che pur legati entravano in dissidio e si adattavano a quel dissidio.
Ora il corpo predominava, come prima - durante il pranzo - aveva goduto della supremazia un sentimento di sfiducia dell’uno nell’altra che si era insinuato per tutto il tempo come scivolassimo da un universo all’altro.
Ma ora il corpo parlava e nella semplicità di quella gimtoji kalba, lingua originaria, vernacolare, si era operato il riavvicinamento.

Kalba gimtoji – kasdieninė

Tu- duona mums esi,
Kai tariam: motina, gimtinė,
Dangus – ir mes visi[2]


Lingua e madre - lingua di ogni giorno
tu - il pane nostro sei
madre, terra nativa,
cielo - in ciascuno di noi viva
                                                                                                                                                                     



[1] Amore per i libri e il caffè

[2] Justinas Marcinkevičius



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