Monday 18 September 2017

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno tredicesima puntata)



Un pranzo, il silenzio, il rock e la rabbia


“Mi sembra che tu costantemente hai dubbi su tutto, soprattutto di te stessa…Talora mi sembra che sono io ad averti creato; che mai sei esistita. Che ti ho creato dall’aria, dall’acqua, dalle alghe, dalle scintille e dal rombo quieto oltre le colline di Vilnius” (Jurgis Kunčinas Tūla)
Era difficile a quale dei due lati dovessi guardare, se al suo perenne dubitare di se stessa e di esistere o alla sensazione che osservandola e descrivendola non fossi io a crearla?
Sedevamo a Belgai, un ristorante in Rūdninkų gatvė che faceva cucina belga nel cuore della senamiestis, centro storico di Vilnius.
Non avrebbe potuto esserci luogo migliore in cui Austėja potesse guardare al suo modo di creare capolavori.
Era il luogo dove veniva ogni giorno a pranzo nella pausa. Era un luogo che la rassicurava e dove poteva nutrirsi del cibo che preferiva e la rilassava.
Il suo senso di inferiorità (non mi sento mai bella per te) pareva dileguarsi sedendo al tavolo coperto da un panno bianco sopra una tovaglia rossa.
Il suo modo di soffrire e fare della sofferenza un capolavoro della sua vita, consisteva anche di pause. Questa era una delle migliori pause che io le offrivo, invitandola a pranzo.

Io avevo preso naminiai makaronai su midijomis, pasta fatta in casa con cozze, e Austėja salotos su vyne marinuotomis šiarės jūros krevetėmis, insalata con gamberi del mare del nord marinati nel vino.
Sebbene nel mio piatto vi fosse un’abbondante quantità di formaggio (cosa un po’ strana il formaggio sulle cozze) era una composizione di sapori e gusto di ottima fattura. Assaggiai anche il piatto di Austėja ed era altrettanto buono (elessi poi quel ristorante ad uno dei miei preferiti di Vilnius).
Davanti a quei piatti della cucina belga si fronteggiavano due Sé autentici, questa volta, nudi e presenti alla loro coscienza, sinceri e senza sovrastrutture. Privi di categorie.
Le chiesi del suo passato.

- Dove hai studiato? Dove hai fatto le scuole obbligatorie? a Klaipeda?
- Sì
- E quando ti sei trasferita a Vilnius?
- Quando ho cominciato a fare l’università. Ho affittato una stanza con il mio compagno di allora

Sembrava reticente a fornire risposte. E non ne capivo la ragione. Pensai che avesse qualche emozione da nascondere che non voleva porre su quel tavolo dove sedevamo l’uno di fronte all’altro.

Essere l’uno di fronte all’altro per noi due significava indagarsi, scrutarsi, capirsi, confrontarsi…anche nei momenti migliori dell’amore più intenso.
Forse quel momento non era uno di più intensi. Mi parve neutro. Uno di quei momenti che appartengono a una sospensione, a una pausa: un fermarsi per saggiare la forza dell’avversario e decidere che fare.
Decisi di non insistere. Feci una pausa. Non domandai più niente del suo passato.
Il passato porta ad indulgere, a fare oggetto di compassione chi vive di disistima a causa di un passato che perpetua quella sfiducia. Non volevo divenire compassionevole verso di lei e lei non mi sembrava che me lo chiedesse. Anzi mi pareva che si fosse chiusa in un silenzio dignitoso quanto impenetrabile.
Di una cosa ero grato ad Austėja: non era mai banale. Fin dall’inizio non era mai stata banale. Domande del tipo: che libri ti piacciono? Che musica preferisci? Vai al cinema? Che film ti piacciono?...
Solo una volta che indossava una maglietta con su scritto Foje le chiesi che significasse. Mi spiegò che era il nome di un gruppo rock lituano a cui apparteneva Andrius Mamontovas, il vocalista del gruppo, che lei aveva da sempre amato. Quando il gruppo si era sciolto lei aveva continuato a seguirlo.
A causa di quella maglietta si aprì una parentesi sui nostri gusti musicali. Quasi incidentale. Feci anche io una piccola immersione nella musica rock lituana e scoprii Marijonas Mikutavičius. La sua voce era particolare, aveva un impasto di melodica rabbia e tristezza che cantava con forza la sofferenza che si portava dentro.
Una sua canzone, Balintos sienos (muri bianchi), mi innamorò per la forza della voce e per il dolore che estrapolava

Pasaulis tas kuri tu palikai
Tik balintos sienos, tik balintos sienos
Kai tu iškėlus galvą išėjai
Aš vėl likau vienas, aš vėl likau vienas
Aš vėl likau vienas
Šį kartą amžinai


Il mondo che ti sei lasciata dietro
Muri bianchi, solo muri bianchi
Quando te ne sei andata a testa alta
E io di nuovo solo, di nuovo solo
Di nuovo solo
E per sempre questa volta

Lui come me e come Austėja, lo percepivo dal nostro confronto silenzioso, doveva aver sofferto molto per amore, in un’altra terra diversa da quella da cui venivo, in un’altra lingua, in un’altra mentalità ma che come diceva Saba in La capra

Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore […] il dolore è eterno,
ha una voce e non varia

Cominciai a riconoscermi in quella voce e in quella melodia. Odiavo troppo il genere umano per non sentire la forza del dolore in quella voce, la disperazione di non poter convertire la rabbia in ottimismo, la delusione in illusione, la sfiducia in fiducia.
Davanti ai nostri piatti, in quel ristorante, in un muto confronto si aprirono universi vasti al pensiero, che quasi vi annegava.


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