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Parassiti (ottava parte) - Nel carcere di Sollicciano




Don Paolo aveva lasciato il carcere dove saltuariamente faceva il cappellano penitenziario e lavorava in un programma di deradicalizzazione, era ormai tardi, ritornava abbastanza di fretta alla parrocchia dove aveva la messa delle diciotto.
Don Paolo non era come Papa Francesco. Non si metteva prono e annullava la cristianità in nome di un’ipocrita accoglienza di disperati. Quotidianamente conversava con islamici e cattolici e cercava di metterli in dialogo all'interno del carcere, di vincere le faziosità religiose e culturali che separavano i gruppi in carcere.

Tanti di quei disperati che finivano in galera fuggivano dai loro paesi, non da guerre come volevano far credere i giornali e le televisioni ma in cerca di un Eldorado, per via di promesse che venivano fatte ad arte per alimentare una tratta di emigrati economici, e soprattutto ingrassare il business di cooperative che arricchivano chi le gestiva. Se questi immigrati quando arrivavano In Italia pretendevano il wifi, il cibo di qualità, il non fare niente e ricevere una diaria giornaliera era perché nella loro terra qualcuno gli aveva fatto credere che in Italia avrebbero dato loro tutte queste cose. Poi invece li aspettava una realtà diversa senza sbocchi, una vita di strada, di droghe….su cui poteva ben essere innestata un’opera di radicalizzazione. Soprattuto nelle carceri, come Sollicciano dove lui lavorava.


Era inutile insistere con quelli che erano esaltati e non erano disposti al dialogo. Aveva imparato il metodo dagli Imam che radicalizzavano in carcere. Solo con coloro che vedevi vacillare potevi porre il seme del dubbio.
In prigione ci arrivavano veramente in tanti ma soprattutto i peggiori. Come Nafeez.

- Spacciavo per farmi, Don Paolo, non per diventare ricco. Dormivamo in una casa abbandonata vicino alle Piagge. Quasi in rovina. Vi avevamo fatto una moschea alla meglio. Lì dormivamo, pregavamo e tagliavamo l’eroina. Era un posto di gatti. Tanti gatti randagi. Vi era puzzo di piscio e gatti. Stomachevole. Quando eravamo fatti davamo la caccia ai gatti e li ammazzavamo a bastonate. Eravamo tre marocchini e due algerini. Non avevamo un grosso giro. Un giorno decidiamo di tentare il colpo grosso. Volevamo più soldi. Volevamo rapinare uno che fosse in un giro più grande. Decidiamo di puntare sui nigeriani
- Ma perché proprio i nigeriani? Perché non su albanesi o rumeni?
- Perché gli albanesi molti sono musulmani e i rumeni sono cattivi e organizzati bene. E poi i negri ci stavano sul cazzo. I negri puzzano. Sono gente di merda
- Nafeez…
- Sì, padre è così
- Vabbeh, lasciamo perdere…vai avanti
- Sì, Don Paolo lasciamo perdere, sono gente di merda e basta….ne adescammo uno di quegli stronzi neri. Gli proponemmo una partita di eroina buona a un prezzo che non poteva rifiutare. Quando arriva e tira fuori i soldi uno di noi tira fuori una 7,65 e gli spara in mezzo agli occhi. C’erano due altri nigeriani che l’accompagnavano, ne viene fuori una sparatoria. Scappiamo ma dopo tre giorni la polizia ci prende e finisco qui a Sollicciano, dove c’è l’Egiziano
- Come l’hai conosciuto?
- Quando ero a fare la doccia. Ero nudo, con il cazzo fuori…a me importavano solo le donne con le tette grosse e il vino. Pregavo ma all’Islam ci credevo poco. Credevo solo nella fica e nel vino…probabilmente mi teneva d’occhio da tempo. Lui sapeva tutto su tutti. E sceglieva quelli come me, i più poveri e disperati, che non avevano nessuno, pieni solo di vuoto…
- Ha cercato di toccarti?
- No, mi ha solo guardato
- ???
- Sì, mi ha guardato e mi ha detto: “Perché fai la doccia senza mutande? Siamo musulmani noi, non kafir, miscredenti. Abbiamo obblighi che Dio ci impone, noi. E Dio non vuole che fai la doccia nudo”. Ma non era una minaccia o un ordine, Don Paolo, era come una conversazione fra amici che si fossero lasciati cinque minuti prima. La sua voce era calma e melodiosa. Mi sono sentito protetto. Mi ha riempito il vuoto che avevo dentro. Quando entri in carcere, ti senti vuoto. Non hai più nulla. Niente droga, niente soldi. E uno stato di malessere che hai dentro, che ti si annoda giù dentro le budella e si fa corpo e mente. E nella mente senti solo buio, che avanza dalle viscere e ti stordisce. E lui lo sa. E ti avvicina con la sua voce incantatoria per convertirti.

In carcere ce ne sono tanti come l’Egiziano. Scelgono, come diceva Nafeez, sempre i più derelitti. Quelli abbandonati dal mondo a cui non arriva mai nulla dall’esterno. La gente come l’Egiziano ha accrediti postali dall’esterno, ha soldi da spendere in buoni allo spaccio, che non destano sospetti. Ha i telefonini. Con quelli fanno tutto. Basta corrompere una guardia o qualche volontario ingenuo, di buona volontà (e ce ne sono tanti fra gli italiani) – devo chiamare la mia famiglia, non la sento da anni, ti prego aiutami!
Con il telefono mantengono i collegamenti. Usano i canali su Zello e fanno camere di conversazione a tre o quattro per pianificare come reclutare. Li tengono nascosti nel water per sfuggire le ispezioni. Tolgono la sim e li avvolgono bene di modo che non si danneggino. O li nascondono in frigorifero fra la frutta, che anche se li scoprono non possono mai risalire a un detenuto in particolare.
Quelli come l’Egiziano sono in carcere sempre per reati minori: documenti falsi, detenzione di arma. La loro è una missione specifica. Diventano emiri così. Più conversioni ottengono in prigione e più salgono nelle gerarchie della Jihad.
I lupi solitari non esistono. E’ un’invenzione di chi vuol farlo credere. O se esistono è una percentuale minima o sono comunque vittime della propaganda in rete e della loro miseria.

- Don Paolo, con l’Egiziano che ti proteggeva, in carcere nessuno ti guardava male. Nessuno ti toccava, eri protetto. Con lui mi sentivo purificato, elevato…sapeva tutto il Corano e gli hadith profetici e la sunna
- Ha finito la pena, è uscito. Sai che fine ha fatto?
- No, Don Paolo, è scomparso. Forse è in Siria a combattere.... Voglio immaginarlo ancora vivo. Non è morto. Ne sono sicuro.  Non può essere morto. O forse è a Londra a fare opera di radicalizzazione…Era forte. Aveva due braccia tozze e pesanti come clavi, non può essere morto.

Nafeez era uno dei pochi a Sollicciano con cui era riuscita un’opera parziale di deradicalizzazione perché il preteso Imam che si era fatto avanti dopo che l’Egiziano era stato dimesso l’aveva fatto picchiare.

- Avevo un colloquio con l’avvocato in parlatorio…ti ho detto a me piace il vino, ne bevo due sorsi, ero nervoso…sulle scale incontro il nuovo Imam. Mi chino per omaggiarlo come facevo con l’Egiziano. Lui sente subito l’odore del vino. “Miscredente infame!” – mi urla – "che hai fatto? Non lo rifarai più". E la notte in cella mi hanno picchiato a bestia. Non so come ancora sono vivo.

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